La Cina si scusa per il tonfo in Borsa

Pechino: «Il nostro listino ha troppe lacune» Sale il pericolo greggio, e la Fed rivede il 2010

Dopo il knock out di venerdì scorso (830 i miliardi di capitalizzazione spariti, di cui 260 nella sola Europa), le Borse mondiali guardano con gli occhi ammaccati alla Cina e al mini-petrolio, piombato nell'ultimo black friday sotto i 29 dollari al barile. Senza contare la difficoltà con cui combatte la Federal reserve nel pilotare il costo del denaro; una pellicola già vista nel 2010 e che ha poi prodotto il secondo quantitative easing.Pechino, che da agosto tiene in ostaggio i listini, potrebbe infatti decidere di svalutare del 20% il suo yuan. Sarebbe una manovra choc, così come è stato inusuale il mea culpa recitato ieri da Xiao Gang, presidente della commissione che regola i listini del Dragone (Crsc), sull'«anormale» volatilità delle Borse di Shanghai e di Shenzen: la prima ha perso il 20% da inizio anno, entrando in fase orso. Secondo il manager asiatico l'estrema volatilità delle borse rivela un «mercato immaturo» e «gravi lacune» nella supervisione finanziaria.«Alcune istituzioni - ha aggiunto in un discorso interno pubblicato sul sito web della Crsc - hanno lasciato che prosperassero attività illegali e irregolari, al posto di assumersi le loro responsabilità e di stabilizzare i mercati». A Pechino si stanno infatti moltiplicando le inchieste per conflitti di interesse e corruzione. «Dobbiamo intensificare le riforme, rafforzare la supervisione e sostenere lo sviluppo di un mercato dei capitali sano», ha concluso Xiao Gang.Così la Cina, che è stata la fabbrica del mondo nei sette anni di crisi iniziati con il crac di Lehman Brother, appende le sue speranze anche alla Asian Infrastrutture Investment Bank (Aiib), la banca di sviluppo regionale per finanziare gli investimenti lungo la via della Seta avviata ieri. Nei primi cinque anni di attività, il presidente cinese Xi Jinping prevede di stanziare fino a 15 miliardi di dollari di investimenti all'anno. Quanto ancora al greggio le 22 petroliere pronte a salpare dell'Iran, da ieri libero dall'embargo internazionale, non promettono nulla di buono per un mercato già in sovra-produzione al punto da mettere in difficoltà i bilanci sia dei Paesi arabi dell'Opec sia della Russia, alle prese con la caduta del rublo. Teheran ha un potenziale enorme: nel 1979, estraeva 6 milioni di barili al giorno, contro gli 1,4 dello scorso anno. Insomma i 1.500 miliardi evaporati dall'indice S&P 500 da inizio anno potrebbero essere solo l'inizio, anche perché i mercati sono tentati di lasciar assorbire la «bolla» creata dalla politica espansiva della banche centrali: da inizio anno Piazza Affari ha ceduto il 10,4% dopo il +15% del 2015.

Ecco perché, dopo il mini-rialzo dei tassi di dicembre, la Fed di Janet Yellen è in una situazione simile a quella che 2010 costrinse Ben Bernanke a invertire la rotta e a concedere nuovi aiuti per arginare la crisi dell'eurozona.MR

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