La riorganizzazione delle raffinerie di Eni naufraga sullo scoglio sindacale. Si sono rotte ieri a Roma le trattative sul progetto industriale del «cane a sei zampe» che prevedeva la riorganizzazione generale degli organici nei siti produttivi i taliani. A riferirlo è la Filctem-Cgil circa l'esito dell'incontro che si è concluso, nella tarda serata di martedì, tra i segretari generali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil, Emilio Miceli, Sergio Gigli, Paolo Pirani e il nuovo ad di Eni, Claudio Descalzi.
Nel corso dell'incontro, Eni ha denunciato gravi perdite nel settore della raffinazione a causa di un surplus europeo di 120 milioni di tonnellate di raffinato comunicando ai sindacati di garantire la continuità operativa solo per la raffineria di Sannazzaro (Pavia) e della propria quota (50%) del sito di Milazzo (Messina). In discussione, invece, le cinque raffinerie di Gela, Taranto e la seconda fase di Porto Marghera, oltre al petrolchimico di Priolo, a Siracusa.
«Le prospettive più pesanti riguardano Gela, per la quale sarebbero revocati i 700 milioni di investimenti previsti lo scorso anno che avevano l'obiettivo di ammodernare gli impianti e arrivare a una produzione di diesel tale da poter garantire ancora i margini, oltre allo stop delle tre linee di produzione», riferisce il sindacato che ha chiesto un incontro urgente al governatore Rosario Crocetta. A rischio ci sarebbero più di 3.500 posti di lavoro. Per questo, ieri, gruppi di lavoratori si sono spostati ai cancelli della consociata di Eni, «Green Stream», con l'obiettivo di bloccare il gas che proviene dalla Libia attraverso il metanodotto sottomarino, fermando l'attività nel terminale di arrivo e di rilancio del metano, destinato alla rete nazionale.
Dopo la rottura delle trattativa, le maestranze di Gela non lasciano transitare più nessuno, nemmeno i turnisti che avrebbero dovuto dare il cambio ai colleghi che hanno lavorato durante la notte.
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