La Cassazione, con la sentenza numero 18494 del 21.9.15 in tema di occupazione abusiva di immobili, ha chiarito che pur aderendo alla tesi che il danno causato dall'indisponibilità d'un immobile non possa essere in re ipsa e che nessun risarcimento è mai esigibile se dalla lesione del diritto o dell'interesse non sia derivato un concreto pregiudizio ciò non toglie che l'esistenza del danno possa essere dimostrata con ogni mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni semplici di cui all'articolo 2728 Codice civile.Non vi è, dunque, alcuna implicazione necessaria hanno sottolineato gli ermellini tra il negare l'ammissibilità di danni in re ipsa, e il negare il ricorso alla prova presuntiva. Una volta, infatti, stabilito che il danno in senso giuridico è non la lesione d'un diritto in sé, ma le conseguenze che ne sono derivate, nulla vieta al giudice di risalire al fatto ignorato dell'esistenza d'un danno, muovendo dal fatto noto del tipo, quantità e qualità della lesione patita dalla vittima. La Corte, su quest'ultimo passaggio, ha fatto anche un esempio: chi disponesse «d'una piccola corte a mo' di deposito, a livello teorico risparmia il costo del fitto di un'area analoga». Sono certo pregiudizi che non possono essere provati nel loro esatto ammontare e che impongono sottolineano i giudici una liquidazione equitativa. Quindi, la sentenza impugnata è stata cassata con contestuale fissazione del seguente principio di diritto: «La perduta disponibilità d'un immobile non costituisce un danno in re ipsa, nel senso che, provata l'occupazione abusiva, non può dirsi per ciò solo provato il danno.
Quest'ultimo, tuttavia, può essere dimostrato col ricorso a presunzioni semplici, e può consistere anche nell'utilità teorica che il danneggiato poteva ritrarre dall'uso diretto del bene, durante il tempo per il quale esso è stato occupato da altri». *PresidenteCentro studi Confedilizia- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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