Cina e Taiwan ai ferri corti sul Dalai Lama

Un no secco. Espresso in poche battute, riportate ieri dall’agenzia di stampa Xinhuama. Un no che non lascia alcun margine. La Cina «si oppone risolutamente» alla visita del Dalai Lama, il leader spirituale dei tibetani, prevista per la settimana prossima a Taiwan. Vicenda chiusa, almeno per Pechino. Ma quel che è certo è che la visita del Dalai Lama potrebbe mettere a repentaglio il processo di distensione tra l’isola e Pechino avviato poco più di un anno fa.
Il caso nasce dopo che il presidente di Taiwan Ma Ying-jeou approva e dà seguito all’invito rivolto al Dalai Lama da alcuni sindaci delle regioni colpite dal ciclone di agosto. Il Dalai Lama «può aiutare le anime dei morti a trovare pace e a pregare per il benessere dei sopravvissuti», aveva detto il presidente chiedendo così al leader tibetano di fare una visita alle aree sconvolte dal ciclone Morakot, che ha già ucciso 461 persone. Ma il leader di Taiwan ha finito così per unirsi alla richiesta di sette sindaci del Partito democratico progressista (Dpp) di opposizione, il cui programma ha come fine ultimo la formalizzazione dell’indipendenza dell’isola. Un gesto, insomma, che Pechino non ha potuto accettare.
Così è arrivata la dura replica di ieri. «Il Dalai Lama non è solo una figura religiosa. Con il pretesto della religione, si occupa di attività separatiste», ha dichiarato un portavoce dell’Ufficio degli affari taiwanesi del Consiglio di Stato cinese. I sindaci hanno chiesto al Dalai Lama di visitare l’isola al più presto, entro la fine di agosto. Alcuni commentatori cinesi sostengono che l’invito a «Sua Santità» sarebbe in realtà una mossa politica per mettere in difficoltà il presidente e la sua politica di distensione con Pechino. Ma Ying-jeou è stato accusato di aver sottovalutato l’impatto del ciclone e lanciato con colpevole ritardo i soccorsi alle popolazioni colpite. La sua popolarità è crollata per la prima volta da quando è salito al potere con un vasto consenso, nel marzo del 2008. Secondo Guo Zhenyuan, esperto di questioni taiwanesi presso un istituto di ricerca di Pechino, l’invito al leader tibetano non è altro che una «meschina» iniziativa del Dpp per recuperare il terreno perduto dopo le recenti sconfitte elettorali e l’incriminazione per corruzione del suo leader, l’ex-presidente Chen Shui-bian. Lungo la stessa direttrice si sono mosse le prime reazioni dei dirigenti del partito del presidente, il Kuomintang o Partito nazionalista. «Taiwan ha già abbastanza problemi», ha commentato il deputato del Kuomintang Qiu Yi, e una visita del leader tibetano non sarebbe «di alcun aiuto pratico» alla ricostruzione.


L’anno scorso Ma aveva indicato di voler evitare qualsiasi mossa che potesse mettere in discussione il processo di distensione e di rafforzamento degli scambi commerciali e culturali con Pechino affermando che la situazione non era «adatta» ad una visita del Dalai Lama. Taiwan è di fatto indipendente dal 1949, quando vi si rifugiarono i dirigenti del Kuomintang. Pechino continua a ritenere l’isola parte del proprio territorio.

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