«Il tempo è l'unica cosa che non riusciamo a gestire. Non è nelle nostre capacità sapere quando qualcosa accadrà e se il tempo è percepito solo come una scadenza non lo si vive, lo si subisce. Dobbiamo imparare un suo uso costruttivo, frutto di programmazione, flessibilità ed elasticità».
Bruno Contigiani, ideatore della Giornata della Lentezza, ex manager passato alla filosofia della tartaruga potrebbe discutere per ore del tempo. Lo ha fatto in un fortunato libro, lo scorso anno, dall'inequivocabile titolo «Chi va piano» (Rizzoli).
Contigiani, perché lento è bello?
«Quando abbiamo fondato la nostra associazione abbiamo volutamente scelto il termine lentezza, che era connotato negativamente rispetto all'accattivante "slow". Volevamo tornare alle origini: mettere l'uomo e l'ambiente al centro delle nostre riflessioni sviluppando una condotta riflessiva, meditata».
Passiva, dunque?
«Niente affatto, direi controcorrente. Andare lenti significa tornare ad essere padroni del proprio tempo, non significa avere, magari poco e contingentato, tempo libero, ma vivere in un tempo liberato. Avere coraggio di far passare certi treni perché altri ripasseranno, senza dover sempre vivere in affanno».
Eppure, a leggere il suo curriculum vitae, lei di treni ne ha presi molti, e in fretta.
«Ho rallentato solo dopo un incidente, a causa di un incauto tuffo nel mar Ligure, che mi lasciò 36 punti di sutura in testa.
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