Fine di un impero Arte e culto in Cina al tempo dei Qing

In mostra al museo del Pime gli ultimi anni della dinastia

Francesca Di Biagio

Con loro tramontò la gloria di un impero durato secoli. Tra fermenti rivoluzionari, violente risposte reazionarie e continui attacchi stranieri, si spense l’illusione di condurre un territorio ormai troppo grande, come la Cina, sotto un’unica dinastia di regnanti: i Qing. L’ultima dinastia prima della nascita della Repubblica.
Il museo «Popoli e Culture» del Pime, via Mosè Bianchi 94, ripercorre gli anni conclusivi di questa famiglia, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, attraverso le testimonianze della vita artistica, religiosa e popolare del periodo. Un periodo in cui gli imminenti segnali di decadenza non impedirono la cura dei dettagli estetici, della raffinatezza e talvolta dello sfarzo, uniti a una devota attenzione per le sacralità.
L’esposizione - allestita fino all’11 febbraio, e realizzata in collaborazione con il «Museo d’arte cinese ed etnografico» dei Missionari Saveriani di Parma - parte proprio da un oggetto prezioso: un pannello dedicatorio, in seta ricamata, dono di un nipote all’ottantenne «Zia Li», moglie di un funzionario locale di Chao Mei, nella Cina Meridionale, come si legge nella dedica, composta da ideogrammi in filato metallico d’oro.
Il manufatto, che ritrae in più parti la signora con il proprio congiunto in sontuose vesti e gli Otto immortali del Taoismo (rappresentanti le varie condizioni dell’esistenza, dalla povertà alla ricchezza, dalla salute alla malattia, alternati a vari motivi simbolici ben augurali), è stato con molta probabilità realizzato nel Sud, vicino l’area di Canton, in un noto centro di ricamo al servizio della corte imperiale. Il colore rosso, scelto come base della tela, è associato nell’antica tradizione della Cina alla prosperità e al benessere.
Altrettanto pregiati sono i raffinati brucia profumi, i porta cappelli, le statue in radica e legno ageminato e dorato di monaci buddisti e pescatori, i vasi in porcellana, gli avori. E poi ancora una lunga daga cerimoniale, in giada, avorio, corallo e turchesi, una campana e un tamburo in bronzo, espressione di una società abituata alla ricchezza e al culto del bello.
Pochi ma interessanti i pezzi della sezione dedicata al culto cristiano in Cina: un ostensorio del XIX secolo, in ottone e smalto «cloisonné», candelieri e copricapo liturgici, realizzati nella foggia e nei colori orientali. La parte sugli aspetti della vita quotidiana presenta, invece, una moltitudine di oggetti appartenuti sia a famiglie abbienti che di modesta estrazione sociale, dalle statue votive ai portavivande, dalle piccolissime scarpe per donna alle pipe ad acqua, ai paraventi, agli apriscatole, a delicati acquerelli con scene di pesca e raccolta del riso.

Guidano la visita le gigantografie appese alle pareti, tratte dalle fotografie del missionario del Pime padre Leone Nani, scattate nella Cina di inizio Novecento.
La mostra «Cina. L’ultima dinastia» è aperta da lunedì a sabato, con orari 9-12,30 e 14-18. Domenica e festivi chiuso.

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