Roma I soldi a Bengasi sono finiti. Per andare avanti, la rivolta libica ha bisogno di risorse, e lOccidente non starebbe facendo abbastanza. È quello che ha sostenuto il ministro del Petrolio e delle Finanze del Consiglio nazionale transitorio dei ribelli, Ali Tarhouni, paventando una imminente bancarotta della rivoluzione. Il popolo, in Libia, «continua a morire», ha spiegato Tarhouni: «Una cosa è certa: non ci arrenderemo mai». Servono più fondi, però: «Non abbiamo contanti. Stanno finendo tutte le risorse. Siamo al fallimento completo. O (i Paesi occidentali) non capiscono, o a loro semplicemente non interessa». Delle richieste dei ribelli, parleranno i ministro dellUe domani a Lussemburgo.
Il ministro di Bengasi ha anche spiegato che la produzione petrolifera è ferma a causa dei danni. E questa circostanza spinge i ribelli a tentare di trattare con compagnie petrolifere straniere: Ali Tarhouni cita la tedesca Wintershall e la francese Total. Di fronte al mercato, sottolinea fra laltro, gli insorti sono disposti a turarsi il naso. Nessun problema, cioè, se si deve avere a che fare con chi già trattava col governo del Colonnello. «Noi abbiamo bisogno di aiuto. E rispettiamo e ci adattiamo a ogni contratto - ha spiegato -. Lunico nemico che abbiamo è Gheddafi. I suoi sicari, i suoi criminali. Sul mercato e fra le compagnie non ho alcun nemico».
È molto ottimista, invece, sullo scenario libico lex ministro degli Esteri del colonnello Abdurrahman Shalgham, oggi rappresentante permanente allOnu: «Gheddafi è finito, resisterà appena qualche settimana. Praticamente ha già perso tutta la Libia».
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