La finta «letteratura» che ci ha raccontato un’altra guerra

Carissimi «Giornalini», penso che una moltitudine di «sinistrosi» non sappia cosa realmente sia stata la guerra fratricida che ha insanguinato l’Italia dal settembre 1943 a fine conflitto (per non parlare delle vendette personali e delle appropriazioni dei beni delle vittime). Ogni capoccione ha voluto raccontarla con «parole proprie» e, per opportunismo, ha preferito non narrare la verità pur di nascondere le nefandezze compiute. Dobbiamo capire che l’Italia, in quel periodo, era divisa tra il sud occupato dagli eserciti alleati ed il centro nord invaso, rapidamente, dalle forze armate germaniche (provenienti, in maggior parte, dagli Stati limitrofi, anche loro occupati).
L’otto settembre colse di sorpresa i nostri militari, tanto più che gli stati maggiori delle varie armi si aggregarono a Vittorio Emanuele III nella fuga vigliacca abbandonando i combattenti alla loro triste sorte. La maggior parte dei ragazzi in divisa finì nei lager nazisti, alcuni riuscirono a raggiungere il sud, altri collaborarono con la Repubblica di Salò e vi fu chi si diede alla macchia. Privi di ordini ed abbandonati a loro stessi, cosa potevano fare quei poveri figlioli? Nel 1943, le armate partigiane descritte dalla narrativa di sinistra, non esistevano ed i gruppi partigiani di liberazione si formarono più tardi e per opera dell’Intelligence alleata che cercò di coordinare le operazioni di disturbo contro le forze armate germaniche (i meno giovani sanno benissimo come fossero organizzati e temuti i tedeschi). Vi furono partigiani bianchi che combatterono offrendo la loro vita per liberare il nostro Paese da qualsiasi giogo straniero e vi furono partigiani rossi (reclutati, comandati e guidati da commissari politici agli ordini dei servizi sovietici e jugoslavi) pronti a ordire imboscate e tranelli contro i partigiani bianchi (ritenuti un ostacolo ai loro loschi intrighi). Scopo precipuo dei rossi non fu mai quello di liberare l’Italia dall’invasore ma portarla nell’orbita sovietica. Perché, quindi, meravigliarsi se una sindaco frustrata si comporta nel modo descritto da Superdiego Pistacchi? Si sente insoddisfatta, poverina, perché gli stessi suoi sodali, conoscendola molto bene, la rifiutano. Vi sembra poco? Per quanto riguarda Togliatti (voglio far felice Gianni Plinio), segnalo un pezzetto di «L’Arena di Pola» di venerdì 3 ottobre 1947. Pola stava sperimentando il regime oppressivo slavo comunista e la popolazione locale, che sino ad allora aveva inneggiato al «paradiso di Tito», sta rimpiangendo la gentilezza e l’umanità della Ge.Sta.Po. germanica ma, avendo operato una scelta, era più che giusto ne pagassero le conseguenze. A proposito, sapete che da Monfalcone partirono molti compagnucci per raggiungere Pola e lavorare nei cantieri navali abbandonati dagli italiani? Ebbene. Dopo aver capito, finalmente, cosa significa «comunismo», rendendosi conto del grave errore commesso, indissero alcuni scioperi e si ritrovarono, con il beneplacito di Togliatti, nel famigerato, terribile «gulag» situato sull’Isola Calva (chiamato graziosamente, dalla nomenclatura jugoslava, «campo di rieducazione»). Finirono dimenticati e, soprattutto, abbandonati anche dai compagni lavoratori dei cantieri di Monfalcone. Che pacchia... Troverete la copia di un articolo a firma Nicholas Farrell, apparsa su «Libero» del 27 gennaio 2008. Sbugiarda i soliti compagnucci che asseriscono di aver vinto la guerra di liberazione da soli. Secondo loro, le forze armate alleate svolsero un’attività bellica di secondaria importanza.

Bah! Per quanto riguarda la nostra Marta, poverina, bisognerebbe consigliarle una breve navigazione in internet, cercare le voci «Odeljenje za Zaštitu Naroda, OZNA», «Foibe», «I presunti infoibatori» (ma vi sono una infinità di link simili od affini) scaricarli, leggerseli la sera prima di coricarsi ed arrossire, sobriamente, dalla vergogna.
Ciao a tutti. Sempre in gamba.

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