Da Fiuggi ad Anagni e da Fini a Bonifacio VIII il passo è molto lungo

Caro Granzotto, l’on Fini, in tutti questi anni, non ha perso occasione per ribadire la sua ferma intenzione di «andare oltre Fiuggi». Ma dopo Fiuggi, sempre in Ciociaria, si arriva ad... Anagni, cittadina adiacente, famosa per la storica, celeberrima vicenda dello «schiaffo» di cui fu oggetto Bonifacio VIII. Considerando tutti i sonori schiaffi che ha preso e continua a prendere in faccia in questo periodo, mai obiettivo fu più profeticamente raggiunto! Qual è la Sua opinione in merito?
Alatri (Frosinone)

Gustoso accostamento, caro Fanfarillo. Peccato che le tocchi paragonare Gianfranco Fini a Bonifacio VIII. Altra tempra, Papa Caetani: a lui il ribaltone riuscì, cosa che non si può dire per quello messo in atto da Fini. Dai e dai (pare che nottetempo s’avvicinasse al giaciglio scandendo, ovviamente con voce dell’oltretomba: «Lascia il pontificato, dimettiti, Dio lo vuole... non sei fatto per il Soglio, tornatene fra i tuoi brulli monti...») lo convinse, Celestino V, a fare il gran rifiuto togliendoselo di torno. E per tema che ci ripensasse o che i francesi se ne facessero una bandiera e lo eleggessero antipapa, lo rinchiuse a doppia mandata nel castello di Fumone, che uno del luogo come lei certo conosce bene («Quando Fumone fuma, tutta la campagna trema...»). Non parliamo poi di scomuniche. Quella di Bonifacio s’abbattè sul capo di Filippo il Bello con la violenza di una draghinassa, quella comminata da Fini a Berlusconi, bé, fa ridere: non solo lascia il tempo che trova, ma ha anche ridotto in brache di tela il farefuturismo suo e dei Bocchini. Schiaffi sì, quelli li ha presi. Ha avuto, Fini, i suoi bravi Filippo di Nogaret e i suoi bravi Sciarra Colonna, chi più chi meno sitibondo di vendetta. Quel che teme, ora, è lo schiaffone degli elettori e il restare sotto schiaffo della politica. Ambientino nel quale i golpe sono consentiti, a patto di riuscire al primo tentativo. Se fallisci, sei condannato a essere un nessuno. Al massimo, il portaborse di Pier Ferdinando Casini, che quanto a uso di mondo gli mangia in testa. Il nessunismo. Questo è lo spauracchio che muove Fini a non mollare, manco morto, la poltrona di presidente della Camera. Senza quella carica e le sue pompe, oltre a non essere più nessuno nel Palazzo finirebbe per essere un nessuno anche in quel di Val Cannuta. Dove, bene o male, berlina di Stato, le scorte, le sirene, gli squilli di tromba, i salamelecchi e le testoline di infanti da accarezzare, bé, sì, fanno sempre colpo. La scelta di inchiavardarsi alla poltrona per seguitare a essere qualcuno almeno nel suburbio urbano ha comportato però la rinuncia (sennò che super partes sarebbe?) a scendere baldanzosamente in campo in qualità di duce della «falange macedone». E ivi battagliare per assicurare un posto al sole a sé e ai quattro gatti di Futuro e Libertà contrastando a Pier Ferdinando Casini il ruolo di primadonna del terzo polo. Invece, niente. Vallo a capire, Fini. Per volersi far bello agli occhi dei condomini di via Val Cannuta lascia che a falangista capo di Futuro e Libertà sia Italo Bocchino. Ora, lei capisce... Bocchino. In che mani. Se gli togli il credere-obbedire-combattere, il pensiero politico di Bocchino può tranquillamente essere trascritto sulla capocchia d’uno spillo. E avanzerebbe spazio. Poi c’è l’intoppo del brand e del marketing. I seguaci di Fini, vabbé, diconsi finiani.

Quelli di Bocchino? Bocchiniani? Bocchinesi, forse bocchinardi? Bocchinianti? O peggio? «Si è tenuto a Salò il consiglio dei bocchinesi». Il «Terzo polo bocchiniano». Sente come suona strano, caro Fanfarillo?
Paolo Granzotto

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