Un Flauto Magico di sognante bellezza

da Salisburgo

Da due secoli e un pezzo ognuno sogna un Flauto Magico suo. Mozart ha aperto il gioco dal teatro di periferia di Vienna governato da Schikaneder e l’ha lanciato verso l’infinito e ogni volta non ci basta mai. Se lo spettacolo è irreprensibile, l’esecuzione è fissata nella convenzione, applaudiamo e rimaniamo fermi lì. Se lo spettacolo si sbriglia in immagini che coinvolgono sorprese teatrali che ci danno lo stupore primitivo della prima volta e l’interpretazione musicale e la presenza dei cantanti ci conduce verso approdi di misteriosa bellezza ci nasce una gran voglia di reinventarlo a modo nostro, ma anche di abbracciarne gli autori in un’impensata amicizia. A Salisburgo, Riccardo Muti ha ripreso l’allestimento già diretto un paio d’anni fa, pazzia meravigliosa del pittore scenografo Karel Appel che ha mescolato il mondo suggerito da Mozart all’immaginazione d’un bambino del nostro tempo, e ci ha accompagnato nel nostro percorso ancora più in là, verso quel punto luminoso che dalle nostre piccolezze quotidiane intravediamo come speranza e nostalgia di cose insieme quotidiane ed eterne.
Tutto era leggerezza e bellezza, dramma e sorriso: tempi rapidi, sciolti, ma anche pause e spazi per non perderci, Wiener Philharmoniker come disegno aperto e trame di luce. Cantanti liberi di essere ognuno se stesso, ma in un disegno fascinoso come una rivelazione. E tutti in un rapporto intenso fra di loro. La regia di Saskia Boddeke ne garantiva la coerenza del segno teatrale. Fra le montagne mobili, i feticci afroprimitivi, i grandi fiori d’un mondo naïf e nei coloratissimi costumi di Jorge Jara, tra aeroplanini volanti dei bambini ma anche con l’automobilina sgangherata e festosa di Papageno attorniato da creature sospese, la Regina della Notte di Albina Shagimuratova ci ha fatto rabbrividire col fascino seduttivo e l’autorità di spericolati virtuosimi lucenti, Tamino il principe innamorato e virtuoso, Michael Shade, ci ha sussurrato come se si potesse avere l’anima come voce, Pamina la predestinata, Genia Kuhmeier, era talmente vera che abbiamo vissuto il suo dolore e la sua gioia.

Markus Werba ha dato di Papageno, l’uomo-uccello, una tenerissimo e armonioso ritratto; Franz Grundheber, oratore, e Franz Josef Selig, Sarastro, han conferito con fraseggio e voce scura tutta la necessaria autorevolezza. Volendo, grazie a Dio, è un Flauto Magico che si può discutere. Ma con tanta festa e con tanta felicità.

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