Monica Piccini
Milano - Una specie in via d’estinzione. Da chansonnier cresciuto alla scuola di Gaber e Jannacci nei locali dei navigli meneghini, a imprenditore di se stesso, con la creazione dell’etichetta indipendente Catartica con cui distribuisce libri e cd dei suoi spettacoli. Flavio Oreglio è biologo, musicista, scrittore e attore. Frequenta lo Zelig fin dagli anni Novanta, prendendo parte alla fortunata trasmissione tv che dal locale di cabaret ha preso il nome. La sua ultima fatica letteraria, Non è stato facile cadere così in basso, è anche il titolo dello spettacolo che Oreglio porterà in tournée da settembre in poi.
Tra libri che diventano spettacoli teatrali, apparizioni tv che diventano cd audiovideo, una cosa l’ho capita di lei: non butta via niente.
«Come per il maiale. In realtà il mio è un percorso artistico coerente con quello che penso io, a prescindere dai prodotti con i quali poi raggiungerà il mio pubblico».
Quanto c’entra tutto questo con la notorietà che le ha regalato la trasmissione tv Zelig?
«Moltissimo direi. Prima della tv, in cui debuttai nel 2000, mi dedicavo ai miei spettacoli già da 12 anni, ma certo, li portavo in teatri minuscoli e li pubblicavo con editori minori. Già da qualche anno non faccio più parte di Zelig, perché, nonostante rimanga forte il rapporto di amicizia con Gino e Michele e con lo stesso Bisio, ognuno ha preso la sua strada. Per me non era più possibile fare le cose che volevo quindi, con tutta la gratitudine del caso, mi sono cercato una situazione più consona».
All’epoca centinaia di spettatori le inviavano le loro poesie manifestandole così il loro gradimento?
«Penso di aver indovinato almeno due aspetti. Il fatto che la mia era una presenza poco ingombrante, ma dignitosa, e che il linguaggio utilizzato “a spot” assomigliava a nuove forme di comunicazione come gli sms».
Sempre più spesso i comici italiani salgono in cattedra. Chi più di lei che ha insegnato alle scuole medie...
«Ho insegnato matematica e scienze. Volevo che i ragazzi mi chiamassero per nome dandomi del “tu”. Io utilizzavo il loro linguaggio confidenziale, ero diventato il capo della banda. I ragazzi studiavano volentieri e rendevano di più, ma il preside non ne era convinto e fui radiato dalla scuola dove facevo supplenze».
Insegnava loro anche i pensieri di un rivoluzionario moderato contenuti in Melodie&Parodie, il suo primo album registrato in quel periodo?
«In quel disco, ancora in vinile, parlavo di temi ecologici ancora poco sentiti. La definizione di un ecologo? Un apostrofo verde tra le parole t’inquino».
Celentano direbbe che i monologhi sono rock. Ma c’è chi li considera insopportabilmente lenti. Lei che ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia come li considera?
«Dipende. Io li utilizzo quando devo dire tante più cose di quelle che entrano nei tre minuti di una canzone. Dalla loro non avranno la suggestione delle note ma la mimica facciale sì».
Dove trova lo spazio per un confronto con il suo pubblico?
«Durante l’ultimo spettacolo in teatro (Non è stato facile cadere così in basso, ndr) per esempio insieme al regista Renato Sarti ci siamo inventati il teaforum, una sorta di cineforum dopo lo spettacolo, in cui chi voleva fermarsi rimaneva a parlare. Ho capito che tra la gente c’è tanto bisogno di parlare. Da settembre inoltre ci sarà anche un forum sul mio sito».
Quello spettacolo parla della morte della ragione, della quale lei si appresta a celebrare i funerali. Qual è la cosa meno ragionevole che vede oggi in Italia?
«Il dare troppo credito alla televisione. Ma anche agli altri mezzi, tra cui radio e giornali, che manipolano le informazioni».
E lo dice proprio lei?
«Lo dice uno che potrebbe stare in tv molto più frequentemente di quando accade. La tv è una droga per chi la guarda, ma anche per chi la fa. L’importante è non cedere alle pressioni. C’è un limite al compromesso».
Come è la giornata di chi non fa compromessi con la propria creatività?
«Se ho voglia scrivo e spesso leggo molto più libri in contemporanea. Solo saggistica, però».
Parliamo d’amore. Scelgo a caso tra i suoi aforismi: «Nei miei pensieri sei solo tu... Pensa che desolazione». I suoi versi sono destinati a concludersi con sferzante ironia. Così anche nella vita?
«Beh l’ironia è fondamentale. Comunque i miei versi sono sempre indirizzati a una donna in particolare, quella a me più vicina in quel momento. Quello che scrivo non è mai una generalizzazione sulle donne o sul rapporto tra i sessi. È solo un condensato di tutti i rapporti finiti male».
Nonostante il tormentone Il momento è catartico non è diventato un personaggio. Che prezzi hai pagato per questo?
«Il coraggio di fare qualunque lavoro, in caso di necessità. Anche il cameriere, perché no?».
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