da Milano
Le strategie sono decise. Ora si inizia a parlare di numeri. Agli amministratori sarà sottoposta una fusione tra i due istituti con un rapporto di concambio che, secondo gli analisti, si situerebbe sui 3,1-3,3 titoli di Intesa ogni azione SanPaolo Imi, in linea con le valutazioni espresse dalla Borsa. Gli azionisti dei due gruppi stanno approfondendo in queste ore i temi più tecnici e delicati. Il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, ha riferito di aver ricevuto il benestare del Crédit Agricole, primo azionista di Intesa. Di contro il Santander si è limitato in giornata ad un succinto «no comment», ma ambienti bancari vicini al gruppo spagnolo hanno segnalato grande irritazione per un'operazione giunta a sorpresa. Del resto c'è già chi ipotizza che a fusione realizzata possa venir offerto ai soci esteri di farsi da parte, ovviamente con adeguate contropartite. Il Crédit Agricole, attualmente primo azionista di Intesa con quasi il 18%, vedrebbe ridimensionare il proprio peso a circa il 9% e il Banco Santander dall'attuale 8% circa del SanPaolo si troverebbe diluito a circa il 4% del nuovo gruppo. Di contro le fondazioni italiane si posizionerebbero complessivamente sul 22%, con la Compagnia di San Paolo al 7% e la fondazione Cariplo quasi al 5%. Insieme alle Generali, intorno al 4%, sarebbero quindi in grado di costituire un solido «nucleo duro» nazionale. I grandi soci sono del resto destinati a superare la soglia del 30%: gli immancabili patti parasociali dovranno quindi bilanciare le diverse esigenze senza far scattare l'obbligo di Opa.
Secondo gli analisti, che vedono con favore l'operazione, i vantaggi dell'aggregazione non sono da vedere tanto nelle sinergie, valutate sugli 800-1000 milioni di euro, quanto nelle opportunità che le nuove dimensioni consentiranno di cogliere sui mercati internazionali. La concentrazione sul mercato italiano potrebbe tra laltro far nascere qualche problema al nuovo aggregato, il che limita le attese di sinergie da ricavi. Secondo le prime stime degli analisti, le sovrapposizioni territoriali renderebbero infatti necessaria la cessione fino al 10% degli sportelli.
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