Franco Angeli e il rigore geometrico

Una quarantina di tele riportano d’attualità la celebre «Scuola di piazza del Popolo»

Fedora Franzè

Da un’adesione iniziale alla poetica informale alla raccolta di elementi simbolici tratti dalla cultura visiva delle ideologie correnti, alla loro reiterazione e combinazione in una particolare visione pop d’impronta politica, questo l’iter di Franco Angeli illustrato dalla mostra in corso presso le sale della Galleria La Nuvola di via Margutta fino al 22 dicembre.
Angeli fu tra i frequentatori del bar Rosati quando si andava formando il gruppo di intellettuali e artisti che avrebbero tratto da quella abituale stazione la denominazione di «Scuola di piazza del Popolo». Tra gli altri, Kounellis, Festa, Pascali, Schifano, Ceroli, Tacchi, Mambor, e gravitavano tutti attorno alla Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis, puntuale nel proporre le nuove tendenze dell’arte romana.
La città viveva un periodo di grande vivacità culturale e si discuteva delle novità «popular» d’oltreoceano nate nell’immediato dopoguerra da un retroterra dadaista, ma esplose in Europa nei primi anni Sessanta e in modo trionfante in seguito alla sorprendente Biennale veneziana del 1968.
Già da tempo Franco Angeli si dedicava totalmente alla pittura, dando consistenza ad una passione cresciuta come necessità d’espressione durante la guerra, quando l’effetto scioccante dei bombardamenti lo induce a sperimentare le possibilità della materia di comunicare il dolore, il senso di lacerazione, la perdita violenta dell’integrità corporea.
È il periodo in cui le sue opere appaiono velate da garze, in un rapporto esplicito con la realtà circostante; un’arte militante, intesa come cronaca partecipe e quasi interiorizzando e rendendo pura forma le ferite che descrive. In esposizione si trova un’opera su cartone degli anni Cinquanta che mostra chiaramente il grado di appropriazione della cultura informale (in Italia il riferimento è Burri, dall'estero arrivavano gli esempi, che fecero una grande impressione, di Fautrier e di Dubuffet). Il decennio successivo vede Angeli avvalersi di simboli - metodologia comune al mondo pop - prediligendo temi di carattere politico-militare rispetto agli oggetti-beni di consumo utilizzati dagli artisti americani o alle fantasie «povere» dei colleghi romani. Diversi smalti su carta testimoniano in questa occasione l’uso composto, insistentemente graficizzato, di profili che ricordano appena quei motivi, riassorbiti dal campo bianco del fondo e dal segno a volte compulsivo, ridotti progressivamente ad elementi grafici.
Il nucleo più cospicuo della mostra in corso consiste di opere degli anni Settanta in cui l’artista dà più spazio al colore e al rigore geometrico, connotando ironicamente - la leggerezza è solo apparente - gli aeroplanini, le piramidi, gli obelischi e le solite aquile migrate dalla banconota americana.
Esemplare della sua vicenda d’artista intenso e tuttavia baciato dal successo, «Dolore acuto» del 1967, una tela nera di grandi dimensioni solcata da una lama d’acciaio aggettante in cui pittura nera su nero e luce metallica si armonizzano contro ogni probabilità.

Il nero ha una grande tradizione e poco prima di Angeli, Ad Reihardt ne aveva fatto l'emblema di tutta la sua pittura; autonomamente e non da New York ma da Piazza del Popolo, Angeli è riuscito a cavarne fuori una cifra personale non solo elegante ma vitale. (Ingresso gratuito)

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