Furia non può più correre in pace In gabbia i cavalli del Far West

Vi immaginate, se fosse ancora al mondo, John Wayne, strappato dalla sella del suo cavallo, trasferito in un recinto del Nevada con i turisti che acquistano il biglietto via Internet per andarlo a vedere, dopo aver perso qualche migliaio di dollari in un casinò di Reno? Sono certo che il vecchio «Duke» si rivolta nella tomba al solo pensiero. I simboli non si possono rinchiudere da nessuna parte. Essi viaggiano senza reti, senza confini, talvolta senza una meta precisa, liberi da ogni vincolo, incuranti del pericolo e insofferenti della mancanza di libertà a tal punto da conservare il proprio status a prezzo della vita.
Ora, chi rischia di finire chiuso in un recinto, è uno dei grandi simboli di un’America del passato, e non si tratta di fiction cinematografica, ma di un personaggio in carne e ossa, anzi, in muscoli e tendini possenti, quanto armoniosi nella corsa. Il Mustang, il cavallo selvaggio che da secoli corre nelle praterie del Nevada, il simbolo del Far West, colui che è stato la spalla dell'uomo in guerra e nei trasporti, finirà chiuso nei recinti del Bureau of Land Management.
Il termine Mustang (dallo spagnolo «mestengo») viene spesso usato per prodotti ad alte prestazioni e infatti le caratteristiche di questo cavallo, importato in America dagli spagnoli nel 1500, sono la grazia e la velocità. I soggetti catturati dai nativi, e spesso incrociati e ricatturati da «visi pallidi», divennero presto essenziali per la caccia al bisonte, al posto del cane, e per il trasporto di uomini e merci.
Nel 1971 il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto il Mustang quale «simbolo vivente dello spirito pionieristico del West che contribuisce ad arricchire la vita del popolo americano». Il Bureau di cui sopra dovrebbe vegliare sulla sorte di questo simbolo, ma, accampando scuse assai improbabili, ha affermato la volontà di rinchiudere, nei prossimi mesi, i primi 2500 soggetti in recinti situati vicino a Reno, nel Nevada. Se nei primi anni del 1900 i Mustang contavano circa due milioni di soggetti, la loro popolazione fu presto decimata, sia per l'utilizzo bellico che per la macellazione e la conseguente trasformazione in cibo (soprattutto per cani e gatti). La pratica di eliminare questi cavalli con i metodi più discutibili e crudeli (caccia con gli aeroplani e avvelenamento) portò la popolazione al collasso e alla promulgazione, nel 1959, di una legge a salvaguardia della loro vita, potenziata poi nel 1971 dal Congresso. Oggi, secondo il Bureau, sono troppi i 30.000 Mustang che vivono tra Nevada, Wyoming, Montana e Oregon, rischiando di ammalarsi e propagare malattie. Da qui la loro reclusione. «Balle», insorgono gli animalisti, capitanati da stelle del cinema amanti dei cavalli, come Viggo Mortensen che, la settimana scorsa, ha scritto una lettera al presidente Obama per chiedere che i Mustang rimangano liberi.
La realtà è che i «farmers» (contadini e allevatori) vorrebbero le pianure tutte per le proprie coltivazioni e per i propri bovini.

A loro dei simboli frega ben poco e, se su quei prati un tempo scalpitavano i cavalli di Custer, di Cavallo Pazzo, di John Wayne e di Kirk Douglas, oggi è un altro giorno: i macelli attendono i loro vitelloni ingrassati con l'erba di quelle praterie non calpestata o contaminata dai cavalli selvaggi.
Speriamo, vecchio John, che il prossimo anno ci riporti quei simboli le cui criniere fanno a gara con il vento nelle immense pianure del West.

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