Quanto ricordato più avanti è parte di una piccola storia iniziata 5 anni dopo la fine della guerra. Quella storia, si è poi perduta negli anni ed è svanita insieme a persone che sono andate via per sempre, sepolta con loro nei loro cuori.
Ma ciò che rimane ha attraversato il tempo, ed ora, nell'età matura quando si cerca conforto nel ricordo, riesce ad infondere melanconica dolcezza e arriva a volte a carezzarti l'anima. I momenti del passato, vaghi ed opachi se dimenticati, brillano vivi quando evocati e a volte parrebbero appena vissuti.
Il quartiere del Lagaccio, era a quel tempo, madre affettuosa, che sapeva meravigliosamente conciliare le molte anime di chi vi trovava accoglienza, la gente venuta dal sud con una valigia di cartone, che avrebbe subito cominciato a ricostruire il nord infondendo, per un breve periodo, la speranza agli italiani, negli anni del boom; la gente scacciata dall'est e forse persino rifiutata dalle foibe qui invece accolta con solidale comprensione ma solo per tappa nell'esodo che portò molti di loro a trovare la morte nel buio, tra il carbone del Belgio. Un'officina di umanità a quei tempi il Lagaccio oggi talvolta bistrattato e accusato di razzismo, per una storia di moschea, che forse la benevolenza di Allah ha evitato quanto recentemente accaduto, ma con il quale purtroppo il quartiere dovrà ancora confrontarsi per via delle sue debolezze idrogeologiche.
Si scendeva allora, e specialmente nella bella stagione mia nonna ed io dal quartiere al mercato rionale di via Prè, entrambi alla ricerca, lei di frutta e verdure a buon patto ed io dei colori del mondo.
Ricordo, appunto nell'epoca più tiepida, i suoi ampi vestiti, tra le cui pieghe cercavo riparo, quando sostava nel sole e tra i banchi, a contrattare la merce, e vi trovava conforto la mia timidezza quando ella si fermava a parlare con la gente, ed io mi celavo, tra quelle spiegazzate cortine, in un complice abbraccio, stretto alla sua opulenza, inebriato dal profumo di talco spagnolo che qualche segreto ammiratore le aveva portato da un viaggio lontano e che lei abbondantemente usava per assorbire gli afrori del suo corpo di donna pesante. A quel tempo ero molto piccolo e gracile, non senza, però essere, di aspetto altrettanto grazioso e gentile e quindi mi riusciva facile di celarmi tra quelle pieghe e solo il riflesso dei miei riccioli biondi mi svelava ad antiche e polverose amiche con le quali mia nonna si intratteneva a parlare per strada per interminabili momenti.
Io rimanevo lì, quasi dimenticato tant'esse erano prese dalle loro ciarle, e solo i timidi strattoni che davo ai suoi vestiti potevano ricordarle che c'ero ancora.
Si proseguiva allora in quel suk ante litteram che era via Prè.
Arteria vivissima, iniziava, estendeva e sfumava i propri capillari, da salita S. Matteo fino oltre Porta dei Vacca quasi fin giù a Fossatello. Oggi oscuro ed insicuro budello sempre in mutazione genetica, era a quei tempi una repubblica fondata su un lavoro di truffa con fantasia, di prostituzione con sentimento, di contrabbando con coraggio, sempre nei limiti di un etica particolare, di una controllata regola e di un non scritto codice, che permetteva ai bambini di perdersi e ritrovare la strada di casa, ai vecchi di camminare sicuri sui loro incerti passi, alle donne di non subire molestie se non cercate, tutto supervisto da un diverso sindaco che manteneva un accettabile e censurato senso del delinquere. Le donne, lasciate per strada a vendersi da una legge iniqua, dimostravano una morbida dolcezza con gli iniziandi ed i timidi, priva di volgari e rudi incitamenti ma fatta di silenziosi e complici inviti a giacersi, ed un senso materno rivolto ai bambini così forte da fare invidia a signore già contente di vite agiate e tranquille.
Moltissime attività in una spazio di mille metri, almeno 5 pescherie, 6 macellerie, 3 pollerie, 4 forni di torte e farinate, svariati panifici ed altrettante pasticcerie drogherie e mercerie 2 tabaccai che le sigarette avevano già posto di vendita altrove e poi i bar ed i cantinoni con i loro tavoli scuri ed impregnati di fumo e di vino, dove la tovaglia era un pezzo di carta da pane ed una rosetta con la farinata valeva più di mille hamburger in una fumosa oscurità che annullava ranghi e classi sociali nell'unico intento del desinare. Il senso della parsimonia di mia nonna trovava risposta e conforto nel trionfo delle offerte e nella profusione dello sfuso, vino ed olio venduti anche a mezzi litri, legumi, zucchero e caffè ceduti a etti, marmellate, giardiniera e conserve varie, tratte sgocciolanti da enormi latte e mastelli di legno e subitamente incartati in sigillanti origami di carta oleata. Non si immaginavano a quei tempi i principi asettici e inderogabili di una impietosa sanità, che le mosche, sui banchi dei pesci e della carne, venivano bruscamente invitate a recarsi altrove non già da complicati dissuasori elettronici, ma da robuste azioni ventilatorie manuali. Pizzicherie che esponevano forme rilucenti e oleose di formaggio grana e spiegamenti di palle rosse di formaggio Olanda e assembramenti di stracchino, e salsiccia arrotolata e srotolata continuamente, scatole aperte con le acciughe salate allineate nel sale e tranci di tonno che apparivano quasi legnosi, quanto erano sodi e genuini e a quei tempi probabilmente di vero tonno. Ai miei occhi di bambino, appariva un luogo particolare il negozio di drogheria sito al centro di via Prè, con tutti i sacchi delle granaglie e dei legumi in bella mostra, scarsi i detersivi chimici, ma piramidali le cataste di pezzi di sapone di Marsiglia che allora serviva per tutto magari anche per l'intimo, che bello il ricordo di quando la mamma ti lavava e ti bruciavano gli occhi, zucchero sfuso preso dai sacchi e fasciato a cono nella carta che ne prese il nome ed il colore, i serbatoi di vetro dell'olio, magici alti cilindri che ad ogni prelievo creavano miriadi di bollicine che salivano, il caffè veniva venduto anche crudo, che a casa c'era la padella apposta per abbrustolirlo sul fuoco e l'ammasso dei coloniali, delle spezie, dei saponi, delle droghe e delle essenze e dei cordiali creava un profumo che ti inebriava con una nota unica irripetibile, ma tanto definita da farti avvertire il negozio, molto tempo priva di vederlo ed entrarvi.
In mezzo a via Prè, si trovava anche un particolare mercatino, oggi scomparso, e riapparso, sterilizzato, poco più in là; Shanghai, il cui nome esotico evocava una sorta di Shangri-la dell'affare, ove trovare grandi opportunità, buone offerte, prodotti introvabili nel normale circuito, tutte novità che i marittimi portavano dai loro viaggi e dall'America, occhiali Ray-ban, accendini Zippo caramelle e balsamo Vicks, l'unguento di tigre, le prime penne a sfera Parker e poi medicinali ed i blue-jeans, da qui partiti poveri e ritornati famosi.
Poi quando arrivava la flotta americana, diverse navi in porto ed una portaerei in rada, era festa per tutti in via Prè, le donnine indossavano i sorrisi più maliziosi sopra generose offerte di merce, e allora il rione che avrebbe dovuto essere OFF LIMITS per la truppa, non riusciva a contenere, né come spesso ci riuscivano i marinai di corvé della SHORE PATROL o della MILITAR POLICE (SP & MP), l'irruenza e la voglia repressa dalle onde del mare dei giovanotti yankee. Tutti i locali, i bar, le cantine ed i ristoranti facevano scorte adeguate di spiriti birra e coca-cola ed i night-clubs, oggi ormai scomparsi, ed erano tanti nell'angiporto e davanti alla vecchia darsena, lucidavano gli specchi e accendevano sempre più luminose insegne con nomi stranieri e ruffiani che per un attimo riportavano a casa, ricordo tra i tanti il Manhattan, il Sayonara, il Piccadilly, antri bui e silenziosi di giorno, veri gironi danteschi nello scuro della notte.
La sera, nella bella stagione, a Ponte dei Mille, dalla passeggiata di Calata Zingari, si andava a vedere i film in bianco e nero che le navi della Marina americana, ormeggiate di poppa, proiettavano per i loro marinai, ma che in tale maniera offrivano anche a noi, allora non c'era la televisione e la sensazione di seguire quelle immagini anche senza capirne le parole, così all'aperto in una tepida sera, sarebbe stata surrogata solo dall'apertura, qualche tempo dopo nel giardino di Villa Doria, del cinema Nettuno all'aperto.
Nel buio della notte sullo schermo cow-boys e gangster si sparavano e si uccidevano, ma venivano subito poi riportati in vita nella ripetizione del racconto di quanto visto che mia madre era obbligata a farmi per la strada del ritorno a piedi fino alla casa di via del Lagaccio
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