È giunto il momento che il «corsaro» Silvio diventi sir Berlusconi

Caro Granzotto, ho letto con vivo interesse il suo Angolo sul rischio di un ritorno alla prima Repubblica. Non dubito che il ritorno ai «bei» tempi dei tri-penta-quadripartito, della «non sfiducia», degli «appoggi esterni», dei «governi balneari» e delle minilegislature sarebbe graditissimo a tanti. Mi chiedo però se sia possibile: oggi l’Europa ci impone di controllare i bilanci, di non aiutare i carrozzoni statali, di garantire libero accesso alle imprese straniere; lo Zio Sam non è più disposto a difenderci (e meno che mai gli «alleati» europei), la Cina e l'India drenano le nostre imprese e distruggono quelle che rimangono, persino la Fiat guarda altrove. Come potremmo permetterci di tornare ai bei tempi in cui lo Stato era solo una greppia da cui tutti potevano abbeverarsi, tanto bastavano le aste di BOT, le svalutazioni e la stampa di banconote?
Livorno

Ma Lei davvero crede che i nostalgici della prima Repubblica si pongano questi interrogativi, caro Ventavoli? Son tipi, quelli, che hanno sempre fatto affidamento sullo Stellone che poi significa «tutto si aggiusta», «a tutto c’è rimedio» perché qualcuno, alla fine, provvederà. E se non saranno i Bot sarà l'Europa, se non sarà l’Europa sarà il Fmi o la Banca mondiale o i cinesi e gli indiani. Regole, impegni e l’austerità restano belle e vuote parole se poi non c’è chi faccia rispettare le prime e tagli o almeno riduca le spese. E il richiamo ai doveri così come la politica della lesina non è pane per i denti dei governicchi della prima Repubblica. La cui forza riponeva nelle coalizioni - le ammucchiate favorite dal sistema elettorale proporzionale - le cui componenti, per rimanere in pista, campavano sul clientelismo. E quel campare ingrassava l’elettorato, che sempre qualcosa otteneva per cui erano tutti contenti. Bisogna però aggiungere che se è quella l’aria che tira - aria da prima Repubblica, appunto - non pare, al momento, che sia in grado di gonfiare le vele. Il fatto è che la destra non sa ancora bene cosa fare della sua sconfitta e la sinistra cosa farsene della sua vittoria. In seno alla maggioranza le voci si rincorrono: indire il congresso, procedere con le primarie, operare un repulisti, incrementare il numero di sedie nella stanza dei bottoni, confermare la guardia, cambiare la guardia, rinsaldare gli sfilacciati rapporti interni, riaffermare la leadership di Berlusconi, mettere in discussione la leadership di Berlusconi, lasciar che Tremonti corra a briglia sciolta, tenerlo a briglie strette... A sinistra non va meglio: pretendere la formazione di un governo tecnico o di emergenza democratica che dir si voglia, lasciare che l’attuale governo cuocia nel suo brodo, puntare alle elezioni anticipate, non correre il rischio di andare alle elezioni anticipate, riformarsi nell’Ulivo bis, imporre il Pd quale partito di governo, blandire Casini, mollare Casini, rendere inoffensivo Vendola, privilegiare Vendola, gettare a mare Di Pietro, saldare i rapporti con Di Pietro... Come è la regola, in situazioni del genere a detenere il vantaggio è tuttavia chi ha perso, non chi ha vinto perché è a quest’ultimo che spetta la prima mossa. E a sinistra non sanno (ancora) come muoversi. Auguriamoci allora che la destra sappia cogliere l’occasione senza farsi fiaccare dalla sindrome del perdente con il conseguente rilascio della tossina del rancore. Da più parti si invita il Cavaliere a tornare a essere il Drake che fu. Phisique du rôle a parte, l’accostamento è azzeccato.

Come l’eroe inglese, con azione decisa e corsara Berlusconi sgominò infatti quell’«Invencible Armada» che fu l’«Alegre màquina de guerra» della sinistra, salvando così, come la salvò Drake, la Patria. Però questo dice la storia: arrivò il momento in cui il corsaro Drake dovette riporre il Jolly Roger, il vessillo con teschio e tibie. Diventando sir Francis Drake.
Paolo Granzotto

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