Giuseppe Cafasso

Nacque nel 1811 a Castelnuovo d'Asti, lo stesso borgo di s. Giovanni Bosco (di cui il Cafasso divenne confessore). Anch'egli figlio di contadini, fu ordinato sacerdote nel 1833. Piccoletto e rachitico, aveva in compenso una mente brillante, tanto da essere scelto come insegnante nel convitto ecclesiastico del famoso don Luigi Guala. Divenne anche un apprezzato predicatore, dai toni e dai modi in netto contrasto col rigorismo giansenista allora di moda nel Settentrione. Morto don Guala nel 1848, fu lui a sostituirlo alla direzione della scuola. Prese in carico anche il santuario di Sant'Ignazio a Lanzo Torinese, perché i gesuiti erano stati soppressi. Quello era l'anno delle rivoluzioni e diversi tra i giovani preti che studiavano sotto di lui erano contagiati dalle nuove idee. Anche di costoro tuttavia il Cafasso finì con l'avere ragione. Ma ciò che lo fece diventare veramente celebre fu il suo ministero quale cappellano delle carceri torinesi, che erano di gran lunga le peggiori della penisola. In tale veste doveva accompagnare i condannati a morte al patibolo. Ne riconciliò con Dio almeno sessanta. Li chiamava «i miei santi impiccati». Infatti, il condannato a morte che accetta sinceramente gli ultimi sacramenti e la pena come espiazione, dice la Chiesa che si salva l'anima.

Uno degli allievi di Cafasso fu don Bosco, che per stargli vicino si trasferì nella capitale sabauda. Sotto la sua direzione spirituale stava la crema della santità torinese, dalla marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo (in attesa di beatificazione) a Clemente Marchisio (beato). Morì nel 1860.

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