Il tema del tetto agli stipendi dei manager torna al centro del dibattito politico, dopo che la norma inserita in Senato nel ddl comunitario (che prevedeva un limite al trattamento economico dei vertici delle società quotate e delle banche) è stata soppressa dalla commissione Finanze di Montecitorio. Il governo vuole abolirlo del tutto, con un emendamento che sopprime anche le regole che legavano gli stipendi dei manager bancari a «criteri di prudente gestione», che invece la commissione Finanze faceva salve.
Il tema è comunque particolarmente «caldo», come testimonia il numero di proposte di modifica presentate dai vari gruppi, che, come quella del governo, devono ancora passare il vaglio di ammissibilità. Particolarmente attivi sono Lega e Pd. Su un concetto i due partiti sono daccordo: vanno previste regole e limiti per gli stipendi dei manager delle società pubbliche, per i quali, nellemendamento a prima firma Alberto Fluvi, i democratici propongono la definizione di un «codice etico delle remunerazioni». Il Pd si concentra inoltre sugli stipendi dei dirigenti bancari, con due emendamenti particolarmente dettagliati su criteri e regole che dovrebbero presiedere alla loro definizione. Il Carroccio va però oltre, prevedendo limiti anche per le remunerazioni dei vertici di aziende che abbiano ricevuto finanziamenti pubblici «anticrisi». La Lega ha depositato anche una versione più ampia, che interviene anche sugli stipendi dei magistrati, dei vertici delle authority, e dei manager delle società anche non quotate, oltre che dei dirigenti pubblici.
Più asciutto lemendamento dellIdv, che sostanzialmente punta a far sì che premi di risultato e stock option siano legati a risultati almeno quinquennali.
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