Groupama cerca un altro patto con Ligresti

Per ironia della sorte, la sede milanese della Edison sta in Foro Buonaparte, il vialone ideato già per Napoleone nel 1800, dopo la sconfitta degli austriaci e la riconquista di Milano. Come se il destino della società elettrica di finire nelle mani dei francesi di Edf fosse già scritto da due secoli. Eppure proprio in queste ore il ministro Tremonti ha bloccato l’accordo in via di definizione con l’altro grande socio, gli italiani di A2A.
D’altra parte la settimana si era aperta con un blitz finanziario clamoroso: la conquista di Bulgari, marchio storico del lusso italiano, da parte del gruppo francese Lvmh, con un’offerta del 60% superiore alle quotazioni di Borsa. Quando proprio nelle stesse ore il presidente della Consob Giuseppe Vegas prevedeva per la compagnia assicurativa Groupama di lanciare un’Opa sulla Fonsai dei Ligresti: forse la misura rischiava di essere colma, con un Paese divenuto improvvisamente terra di conquista dei transalpini come ai tempi di Napoleone. Ed ecco allora che da Roma è arrivato un segnale di rallentamento in attesa di capire meglio i reali assetti, chi vince e chi perde.
La partita è delicata soprattutto sul fronte finanziario e dunque di potere, perché i francesi, attraverso Vincent Bollorè e la stessa Groupama, detengono già una presenza strategica in Mediobanca (il loro gruppo è titolare del 10% conferito nel patto di sindacato) e, tramite questa, hanno messo un piede direttamente nelle Generali, dove Bollorè è divenuto vicepresidente. Per questo, eventuali appetiti finanziari «aggiuntivi» sono guardati con una certa apprensione. Non a caso Salvatore Ligresti non è stato entusiasta dell’ingresso di Groupama in Premafin e Fonsai, dove sono custoditi pacchetti azionari preziosi per gli assetti di potere nazionale, quali sono le quote del 5% in Rcs, altrettanto in Mediobanca e l’1% in Generali. Ma l’arrivo della compagnia francese è stato anche interpretato nella city milanese come inevitabile sia per salvare Fonsai dai suoi problemi patrimoniali, sia per tenere buone le mire di Groupama ed evitare che le attenzioni del gruppo di Jean Azèma, socio di Bolloré, si rivolgessero in altre e più pericolose direzioni, leggi Generali.
In un mercato globale le azioni sono di chi ha i soldi per comprarle. Ma che proprio i francesi, noti anche per un certo innato sciovinismo, possano fare in Italia il bello e il cattivo tempo nell’energia e nella finanza, forse non è opportuno. Almeno senza che intrecci e reciprocità non vengano adeguatamente condivisi. E questo è quanto sembra avverrà in queste prossime settimane. Anche perché si tratterebbe già di una seconda ondata.

Basta ricordare il 25% di Air France in Alitalia (in cui i francesi sono l’unico socio industriale), o le due banche (CariParma e Bnl) che già sono finite nelle mani francesi dell’Agricole e di Bnp, per non parlare delle scorribande di Carrefour nella grande distribuzione. Mentre sull’altro piatto della bilancia c’è pochino: la pionieristica conquista di Ciment francais da parte di Italcementi e la quota del 20% di Del Vecchio nella Foncière des Regions.

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