Sharm el Sheikh - Il summit di Sharm el Sheikh ha mostrato al mondo che esiste sì un fronte moderato, ma anche che la nascita di un Hamastan può diventare una tragedia, gettare una luce sinistra sulla causa palestinese proprio mentre si profila un’occasione di svolta per la pace. L’idea, al vertice, era di prospettare un futuro migliore per il fronte palestinese del buonsenso: una linea che convincesse i sostenitori dell’estremismo che vale la pena di abbandonare le sirene degli hezbollah, della Siria, dell’Iran per tornare nella grande casa del consenso, capace di fornire benessere e onorabilità.
Ma il convitato di pietra, Hamas, ha fatto risuonare la voce del padrone e ha svelato la fragilità della cerimonia di Sharm. Hamas, in tempo per le notizie del «prime time» in Israele, ha rubato il palcoscenico all’appassionato discorso del primo ministro israeliano Ehud Olmert. La voce rotta di Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito un anno fa, è stata mandata in onda, registrata, dal secondo canale tv israeliano. È il primo segno di vita da un anno. In precedenza era stato diffuso il video con Alan Johnston, il giornalista della Bbc rapito a Gaza, che prega di non tentare blitz per liberarlo: «Salterei in aria con la cintura esplosiva che indosso». La realtà dei due rapiti ha offuscato le immagini sterilizzate - con fiori, mobili di design e aria condizionata - provenienti da Sharm. All’esterno delle stanze ovattate del vertice, a 45 gradi all’ombra, c’è il nemico, c’è l’integralismo islamico. Hamas, Hezbollah e Ahmadinejad che se la ride dei soliti summit di Sharm.
Il rapito britannico per ricattare il mondo e il soldato israeliano prigioniero buttano all’aria il gioco di Olmert, ma contemporaneamente rafforzano la volontà che tutto, ma proprio tutto, deve essere fatto per riportare a casa i «bambini», come in Israele sono chiamati i giovani soldati. Nello Stato ebraico capita sovente, a causa della guerra continua, che i padri seppelliscano i figli. L’esercito è l’unica garanzia di sopravvivenza, e tutti ci vanno con partecipazione. Ma la società vuole garanzie che le Forze armate abbiano un sostegno totale, non importa a quale il prezzo. Olmert è rimasto incastrato di nuovo dalla rilevanza della sfida di Hamas e così gli altri. Era andato a Sharm per parlare con Fatah e con i Paesi moderati, aveva portato una lista di promesse: i dollari del debito, sperando che non diventino bottino di corrotti e di terroristi; l’apertura di check point in Cisgiordania, augurandosi che non si intensifichi il mai interrotto traffico di terroristi; la mano aperta tesa verso la proposta saudita; persino la promessa di non abbandonare Gaza al disastro umanitario. L’idea è rafforzare Abu Mazen, mostrare ai palestinesi e agli estremisti i vantaggi della pacificazione.
Proprio mentre si svolgeva il vertice, Hamas ha bussato: altro che i 250 uomini di Fatah detenuti in Israele e dei quali Olmert ha promesso il rilascio. La cassetta di Gilad Shalit ha cambiato il giuoco. Da una parte l’ansia di chi chiede al governo: «Quanti altri ne consegneremo? Torneranno ad attaccare i nostri innocenti?»; dall’altra la pressione di chi vuole a ogni costo Shalit libero, subito. Si prospetta un altro di quegli scambi, già operati da Yitzhak Rabin, in cui migliaia di palestinesi incarcerati vengono rimessi in libertà per poi tornare in gran parte a svolgere attività terroristiche.
Hamas è riapparso anche nel discorso di Mubarak, il quale solo un giorno prima lo aveva dichiarato fuori legge: a Sharm, il raìs ha riesumato l’auspicio di vedere rinascere un governo di unità nazionale.
Strano? Non tanto se si pensa che l’Egitto è il primo, naturale responsabile storico di questa affamata porzione di terra, in cui ora regna una parte di quella Fratellanza islamica (tale è Hamas) che ha mostrato fino a che punto per creare uno Stato teocratico si può sgozzare, defenestrare, fare a pezzi esseri innocenti e lanciare missili su ospedali, uffici, case private.www.fiammanirenstein.com- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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