(...) La stragrande maggioranza è composta da pazienti biologicamente guariti, ossia nei quali non sono più dimostrabili molecole del costrutto leucemogeno Bcr-Abl. È ovvio che solo pazienti relativamente giovani e per i quali esiste un donatore Hla-identico, famigliare o non, possono adire a tale terapia, aggressiva ma risolutiva. E per gli altri?
Accanto a tali successi entusiasmanti, ma non accessibili alla totalità dei pazienti (sovente troppo anziani o già affetti da altre comorbidità), prendeva sviluppo una terapia medica basata sull'interferone, anch'essa dotata di un effetto soppressore sulle cellule Ph+, peraltro mai definitivo. La scoperta farmacologica di questo terzo millennio è invece quella di farmaci intelligenti, disegnati, per così dire, a tavolino, composti da piccole molecole specificamente in grado di inibire la tirosino-chinasi ed altre molecole leucemogene scatenate dalla criminosa unione Bcr-Abl (di cui nessuno, a dispetto dei successi farmacologici di cui si parlerà ora, ha mai indagato a fondo la causalità. Come per il Big Bang, che cosa ci sia prima e scateni la translocazione 9;22 non lo sa nessuno). Una serie di studi clinici degli ematologi italiani, coordinati dai professori Tura e Baccarani di Bologna, hanno confermato, ed ulteriormente dimostrato che il primo di questi nuovi farmaci «mirati», l'Imatinib, è in grado di indurre la remissione molecolare della Lmc in fase cronica. Ma non basta. Per una serie di motivi, inclusivi principalmente di mutazioni ulteriori illustrate da Rosti sempre di Bologna, si può verificare una perdita di risposta all'Imatinib; ma anche a questi ritorni di fiamma leucemici pongono riparo nuove molecole come il Dasatinib già in commercio, il Nilotinib, che sta giungendo sul mercato, ed altre ancora. La tolleranza di questi farmaci è stata approfondita dal professor Gobbi di Genova.
Ma sono in grado tutti questi farmaci intelligenti di eradicare le ultime cellule Ph+, la cui inerzia proliferativa le protegge in qualche modo dai farmaci? Non esiste ancora una risposta definitiva; comunque si stanno facendo tentativi, in particolare dalla dottoressa Bocchia di Siena, di vaccinare i pazienti in remissione con l'oncoproteina Bcr-Abl, con l'intento e la speranza di causare una reazione immune del paziente contro quella minima parte di sé consistente nelle molecole leucemogene. Ben s'intende che il processo è ben più arduo che nelle comuni vaccinazioni antibatteriche e/o antivirali, nelle quali l'antigene, ossia in definitiva l'assieme simultaneamente causale e bersaglio, è ben più caratterizzato ed utilizzabile.
Come comportarsi, dunque, di fronte al paziente giovane al quale viene diagnosticata una Lmc? Farmaci intelligenti o trapianti ottimizzati, da cui sono stati progressivamente eliminati i principali fattori di rischio? A tale quesito fondamentale è stata data risposta in una vivacissima Tavola Rotonda, cui hanno partecipato gli specialisti Alessandrino (Pavia), Baccarani (Bologna), Bacigalupo (Genova), Bosi (Firenze), Carella (Genova) e Morra (Milano). Si è concluso sostanzialmente che l'indirizzo trapiantologico e quello farmacologico si integrano, e per ogni categoria di pazienti, o per ogni singolo paziente, deve essere programmato un percorso terapeutico (algoritmo) integrato e personalizzato.
Non è qui possibile riferire degli altri bersagli terapeutici bene aggredibili con i nuovi farmaci.
*Primario Ematologo Emerito
Azienda Ospedaliera-Universitaria
San Martino
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