I giovani «verdi» in piazza e gli ayatollah rispondono con le forche

Fonti dell’opposizione iraniana hanno diffuso la notizia di una quarta condanna a morte inflitta nei processi celebrati dopo i disordini seguiti alla rielezione di Mahmud Ahmadinejad nelle presidenziali dello scorso 12 giugno in Iran. Il condannato, Hamed Ruhinejad, non è un manifestante: era stato arrestato prima del voto, così come un altro degli imputati che si è visto infliggere la sentenza capitale la settimana scorsa, il filomonarchico Mohammad Reza Ali Zamani. Le loro condanne avrebbero lo scopo di intimidire gli oppositori del regime islamico al potere a Teheran da trent’anni.
In Iran le esecuzioni continuano senza tregua anche nei confronti di persone accusate di crimini comuni. Domenica è stata eseguita - dopo cinque sospensioni, tre delle quali sopraggiunte quando il condannato aveva già la corda al collo - l’impiccagione di Behnud Shojai, ventunenne messo a morte per un omicidio che aveva commesso quando aveva solo 17 anni. Un gruppo di circa duecento manifestanti, guidato dalla madre di Neda Aqa-Soltan, la giovane uccisa brutalmente durante una dimostrazione contro Ahmadinejad, si era radunato davanti al carcere di Evin attendendo i genitori del giovane che Shojai aveva ucciso: volevano convincerli a concedere il perdono al condannato, il che secondo la legge islamica gli avrebbe salvato la vita. Ma non ci sono riusciti.
La legge islamica, così come viene applicata in Iran, non solo prevede che siano i familiari della parte offesa a decidere della vita del condannato, ma anche che possano eseguire essi stessi la sentenza, che assume così i caratteri della vendetta personale, seppure legalizzata.

E ieri nella sinistra prigione di Evin sono stati proprio i genitori della vittima a provocare la morte dell’assassino del loro figlio, prendendo a calci la sedia su cui Behnud Shojai stava in piedi con il cappio al collo in attesa della fine.

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