Un terroir del vino si dice di razza quando una sequenza di elementi naturali si incastrano al meglio con una serie di variabili di tipo antropologico ed economico. Solo allora si può parlare di grande denominazione: Barolo e Barbaresco lo sono.
In Piemonte, da queste parti il peso della tradizione e le capacità mediatiche di una decina di miti viventi (per quelli non viventi parlano i vini, capaci di invecchiare sul serio), si mescolano alla straordinaria quantità di interpreti "invisibili" che sanno produrre con continuità vini d'autore a prezzi giusti. A Barolo, dove l'annata 2004 ha dato nebbioli silenziosi ma longevi, non perdere il Torriglione di Gagliasso a La Morra, gagliasso@lamorra.it, il Vigna Pugnane di Franco Conterno a Castiglione, sciulun@tin.it, il Bussia di Bolmida a Monforte silvanobolmida@tiscali.it, il Sorano di Ascheri a Serralunga, ascherivini@tin.it. A Barbaresco il 2005 ha donato rossi di buon calibro fruttato e di media estrazione tannica (meno profondi del 2004). Carlo Boffa, boffa@boffacarlo.it, e Roberto Bianco, morassino@virgilio.it, nel comune omonimo producono alcune delle selezioni più squisite del millesimo. Davide Viglino, d.vigin@libero.it, Renzo Rapalino, rapaenzo@virgilio.it, e Giovanni Abrigo, orlandoabrigo@libero.
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