I mecenati ci sono, lo Stato non li vuole

I mecenati ci sono, lo Stato non li vuole

Ora abbiamo la prova definitiva. Dopo che il restauro del Colosseo pagato da Della Valle è stato bloccato da ben due inchieste della Procura e della Corte dei Conti, non ci sono più dubbi: ogni volta che sul nostro patrimonio storico-artistico i privati provano a fare qualcosa, viene tentato di tutto pur di affossare la loro partita. Sindacati, corporazioni statali, soprintendenze, direzioni generali del Ministero dei Beni culturali, che per tutto l’anno si lamentano dei conti in rosso e dello Stato che non ha soldi per conservare le sue bellezze, sono poi i primi a insabbiare qualsiasi strategia di rilancio e nuova valorizzazione offerta da soggetti privati, bollandola come una mercificazione: l’entrata del diavolo in un luogo santo. Ecco un breve riassunto dell’ultimo anno.
VALLE DEI TEMPLI Il sindaco di Agrigento, per fare cassa e attrarre maggiori turisti, propone di vendere il logo della famosa valle; si scatena lo sdegno di soprintendenti e studiosi del sistema dei beni culturali, amplificato retoricamente dalle pagine di Repubblica e l’Unità, che parlano di svendita dei templi greci come fosse la svendita dell’Ave Maria; il risultato è che da allora non se ne è fatto più di niente, e nella Valle scarseggiano i turisti e le strutture ricettive.
POMPEI Il soprintendente, ogni volta che parla coi giornali, dice che mancano i fondi, sebbene adesso i 105 milioni dell’Unione europea siano in atterraggio; si fa viva una cordata di finanziatori francesi, coordinati dal Consorzio Epadesa, che mette sul piatto una corposa offerta di sponsorizzazione, anche a fronte dei ripetuti crolli e cedimenti, alcuni dei quali gravi, altri puramente fisiologici; di fronte a tale offerta, che era motivata anche dalla forte defiscalizzazione che hanno in Francia per gli investimenti culturali, in Italia ci si scervella se sia lecito o no concedere il sito agli stranieri o lasciare allo Stato la padronanza sulle rovine; il risultato è che i soldi dell’Unione europea non bastano (anche perché vanno ripartiti tra Pompei, Ercolano, Oplontis, Boscoreale e i Campi Flegrei) e i finanziatori francesi sono ancora lì alla porta (non si sa fin quando).
BRONZI DI RIACE La Regione Calabria, per attirate più turisti e spronare l’uscita dalla sabbia di qualche sponsor più intraprendente, mette in circolo uno spot in cui i Bronzi vengono animati al computer e tentano la fuga dal museo di Reggio Calabria; si scatenano di nuovo gli sdegnisti di professione, capitanati da Salvatore Settis e Gian Antonio Stella, i quali scrivono che i due capolavori sono stati «trasformati in giovanottoni volgarissimi e abbronzati», in «due bulli di un club nudista»; lo spot viene ritirato e non ci sembra che siano sorte nuove offerte di finanziamento privato a favore del museo calabrese (chiuso per restauro fino a data illimitata...).
COLOSSEO L’ultimo caso è Della Valle. Il suo contratto - 25 milioni di euro al Colosseo in cambio dello sfruttamento esclusivo del marchio - è sul tavolo dei magistrati. Dunque ulteriori ritardi, ulteriore burocrazia. Lui dice: o si parte o mollo tutto. Forse mollerà tutto, perché le inchieste durano anni.
Dopo questo ennesimo caso, chi se la sente più, tra i privati, di tirare fuori soldi per il nostro disastrato patrimonio artistico? La sequenza dei fatti è sempre la stessa, sia che si parli di noti investitori come Della Valle o di più modesti mecenati di città: ogni volta che uno prova ad attuare un cambiamento di rotta nella gestione e valorizzazione dei beni culturali, quello che riceve sono spese, processi, blocchi dei lavori, sospensione dei contratti, onorari agli avvocati, mesi o anni persi in uno sfinente vicolo cieco con lo Stato, fatto di protocolli, adempimenti, contrattazioni, sopralluoghi...
L’Opificio delle Pietre dure di Firenze, che è l’istituto pubblico di riferimento per il restauro, ha diramato, due giorni fa, un comunicato in cui dice che non ce la fanno a far fronte alla mole dei restauri senza un sostegno ulteriore in termini di sussidio pubblico e nuove assunzioni.

Ma se lo Stato avrà sempre meno soldi, dopo i casi Colosseo, Pompei, Templi di Agrigento e Bronzi di Riace con che faccia si può chiedere ai privati, che liberamente perseguono il profitto, di intervenire in difesa delle bellezze d’Italia?
Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, ha scritto ieri sul Corriere della Sera che la crisi deve essere l’occasione per una riforma delle abitudini morali e mentali. Speriamo che lo capiscano bene anche quei sindacalisti, professori e soprintendenti che ogni giorno bloccano qualsiasi cambiamento attorno al nostro patrimonio.

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