I ministeri di Salute e Ambiente nei guai Il Tar li condanna per l’acqua all’arsenico

Multa non da poco per i Ministeri dell’Ambiente e della Salute e che potrebbe aprire la strada ad altri ingenti risarcimenti. Arriva dal Tar del Lazio ed è di circa 200 mila euro. Tanto è l’ammontare dei risarcimenti che i due ministeri dovranno destinare (cento euro ciascuno) a circa 2.000 utenti di varie regioni (Lazio, Toscana, Trentino Alto Adige, Lombardia, Umbria) che, tramite il Codacons, si erano rivolti ai giudici amministrativi per lamentare la presenza di arsenico nell’acqua.
È stato lo stesso Codacons ad annunciare la clamorosa sentenza di condanna e ad anticipare la predisposizione di un nuovo ricorso che, a detta dell’associazione di utenti e consumatori, potrebbe interessare un milione di persone.
Secondo il Tar del Lazio, riferisce il Codacons, bere «acqua all’arsenico può produrre tumori al fegato, a cistifellea e pelle, nonchè malattie cardiovascolari». Ma per il Codacons «la sentenza apre una strada di incredibile valore» in quanto stabilisce che «fornire servizi insufficienti o difettosi o inquinati determina la responsabilità della pubblica amministrazione per danno alla vita di relazione, stress, rischio di danno alla salute». «Ora questa strada - prosegue l’associazione - sarà percorsa anche per chiedere i danni da inquinamento dell’aria e da degrado sia a Napoli sia a Roma e nelle altre grandi città in cui la vivibilità è fortemente pregiudicata dal degrado ambientale». La prossima tappa è il nuovo megaricorso in via di preparazione: «Si può già aderire - afferma il Codacons - seguendo le istruzioni sul sito www.codacons.it e si agirà, come indica il Tar, anche contro gli Ato di appartenenza per chiedere un ribasso immediato delle tariffe a la restituzione di quelle versate per avere in cambio acqua avvelenata».


Non solo, il Codacons precisa che il Tar si è soffermato un un altro importante principio, ossia «il fatto illecito costituito dall’esposizione degli utenti del servizio idrico ricorrenti ad un fattore di rischio - l’amianto disciolto in acqua oltre i limiti consentiti in deroga dall’Unione Europea -, almeno in parte riconducibile, per entità e tempi di esposizione, alla violazione delle regole di buona amministrazione»

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