Vittorio Craxi
Caro direttore,
non meriterebbe repliche di sorta l’infame articolo di Filippo Facci che mi attacca sul piano personale con una veemenza degna di uno squadrista. Se non lo conoscessi mi dedicherei anch’io con la stessa violenza alla sua persona notoriamente fragile, con seri problemi di carattere psicologico, e quindi evito volentieri. Tuttavia dev’essere chiaro ed evidente che non c’è nessuna ragione al mondo per la quale Egli insista nel considerarsi il portavoce di amici e famigliari o addirittura dello stesso Bettino Craxi, una megalomania che dovrebbe curare. Che non esiste virtuosismo giornalistico alcuno che giustifichi il venire meno al rispetto delle persone, che i suoi problemi personali si manifestano utilizzando una violenza verbale inusitata (è accaduto anche ad altri di essere oggetto dei suoi sfoghi isterici) che spaventano soltanto chi vuole farsi spaventare. Non è il mio caso. Ripeto quello che ho detto perché trattasi di ovvietà che tutti conoscono e che nessuno può smentire: in 2.190 giorni, tanti sono dal 1994 al 2000, Berlusconi non ne ha trovato uno, a differenza di tanti amici ed avversari, per avere un colloquio diretto, privato, personale con mio padre Bettino. E qui mi fermo.
Siccome la verità è quella che conosco io, che con mio padre ho vissuto quasi per intero quella esperienza, a differenza di chi in quei famosi sei anni ha costruito carriere e si è occupato dei propri affari, ci sarà sempre tempo per raccontarla. Quanto alla teoria del tradimento politico: io penso che chi in cuor suo si sente un Socialista e quindi Craxiano (non mi sono mai considerato tale perché l’esserlo nel mio caso è in re ipsa, si rifletta sempre prima di scrivere delle scempiaggini) non possa non considerare come necessaria la presenza di un Partito Socialista, democratico, liberale nella società italiana del futuro, e che esso non possa che considerare quello della Sinistra l’orizzonte pratico dove ricostruirlo, anche alleandosi con il diavolo.
Siccome rileggendo gli scritti di mio padre questa della collocazione politica ed ideale resta un punto fermo («una ricostruzione su un terreno che non può essere quello della destra», dicembre 1993), ed avendo contraddetto questo principio ritengo tutt’ora giusto e necessario mantenere fermo questo punto politico. Che piaccia o no.
Un’ultima considerazione: la polemica fa parte della vita politica e pubblica, non mi sottraggo certo a questa banale considerazione, non invoco un embargo nella settimana in cui ci apprestiamo a celebrare l’ottavo anniversario della sua tragica scomparsa.
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