I veri diritti sono quelli dei cittadini che subiscono reati e prepotenze

E i derubati? I borseggiati? Cosa sono, ignobili egoisti, privi del minimo senso della solidarietà sociale? In tutto questo gran chiacchiericcio sui diritti delle razze, dei bambini e via dicendo (tutte cose giustissime, intendiamoci, ci torneremo sopra anche noi) c’è un grande assente: il diritto di chi riceve danno ingiustamente. E non parlo del diritto di proprietà o, peggio, all’incolumità personale; c’è un diritto ancora più fondamentale di questi, nella società civile, ed è il diritto a che lo stato ci protegga da chi vuole recare, con la violenza o l’inganno, nocumento alla sfera dei nostri diritti. Se non si avesse questo diritto, perché uno dovrebbe pagare le tasse, sottoporsi al giudizio di un magistrato in caso di lite, accettare una serie di misure di polizia e, insomma, un bel numero di limitazioni alla propria volontà?
Si dirà: c’è il diritto penale. Eh no, è necessario, ma non basta. Non è il caso di farne un trattato, adesso. Ricordiamo solo che il diritto penale interviene (giustamente) solo a cose fatte, dopo la commissione dei reati sicché protegge poco e male dal pericolo della delinquenza specie se organizzata; e poi ricordiamo che il diritto penale (ancora giustamente) si da dei limiti, il primo dei quali è che non colpisce i minori di età.
E se i minori delinquono? E se delinquono in forme che non sono sporadiche od occasionali, ma in obbedienza ad una efficace organizzazione che sta dietro di loro, in gruppi di adulti che li sfruttano?
L’anno scorso (e forse anche questo anno) alcune note località balneari sono state infestate da bande di ragazzini che, approfittando delle minori difese delle case estive, facilitati dalla loro agile corporatura, talvolta con l’ausilio di gas soporiferi, arrampicandosi per grondaie e camminando sui tetti, sollevando persiane malamente chiuse, si sono introdotti in vari appartamenti arraffando quel che trovavano. Molti sono stati presi, alcuni erano rom, tutti minorenni, tutti non imputabili, quasi tutti difficilmente identificabili: che potevano fare i poveri agenti di polizia? Non potevano che mollarli e rassegnarsi; e quelli ricominciavano da capo. Provocando danni patrimoniali, qualche volta alla salute, certo all’industria turistica e soprattutto una forte lesione del senso di sicurezza dei cittadini e del loro diritto a vedersi tutelati; provocando infine un gran senso di frustrazione all’interno delle stesse forze dell’ordine che vedono vanificato il loro ruolo.
Sarebbe già un passo avanti aver modo di identificarli, e modo soprattutto di risalire con certezza ai genitori: su costoro si può agire minacciandoli di sottrarre i minori alla patria potestà per avviarli in appositi istituti educativi. Ove sia il caso, si potrà contestare agli sfruttatori il reato dai minori commesso. E ciò, come è stato detto fino alla nausea, nell’interesse degli stessi minori: ai quali va riconosciuto il sacrosanto diritto a non essere costretti a vivere come ladri.
Ma chi identificare e con quali mezzi? Su questa questione è scoppiata la polemica come ben si sa. Qualche cautela effettivamente è necessaria: non si può dire che si procede ad una speciale schedatura per chi abbia certe caratteristiche etniche e somatiche perché perciò è pericoloso; allora, certo, si cadrebbe in una forma odiosa di razzismo le cui possibili e orribili conseguenze sono purtroppo ben note ai contemporanei. Proviamo invece a mettere le cose così: tutti i cittadini e gli ospiti di uno stato devono poter essere identificati nella loro situazione anagrafica con i mezzi che il loro modo di vivere consente (non si può, ad esempio, identificare un analfabeta tramite la sua firma); allora la prospettiva cambia, avremmo una norma che si rivolge a tutti gli appartenenti alla comunità politica e non a gruppi determinati da caratteristiche somatiche.
Il governo vorrebbe procedere al rilievo forzoso delle impronte digitali. Taluno ha detto che comunque un trattamento (per l’identificazione) diverso da quello riservato ai più risulterebbe discriminante, umiliante, per chi lo deve subire. Discriminate sotto quale profilo? All’identificato si toglie qualche diritto o lo si mette, piuttosto, in condizione di esercitare i propri diritti senza violare quelli degli altri? Parliamoci chiaro: le impronte digitali, o il campione di Dna non consentono di fare alla persona niente di più o di diverso di quello che fanno i documenti di identità: garantire che una persona sia chi dice di essere. Solo che consentono di farlo meglio, con più efficacia e con minori possibilità di alterazione. Si sa benissimo che la prima difesa per gli sfruttatori di bambini e per i delinquenti borderline in generale è quella di nascondere la propria identità.
Se non ci si pone nell’ottica per la quale l’obbligo di essere identificati vale per tutti gli abitanti, anche temporanei, del territorio statale, si rischia di avallare una sorta di razzismo alla rovescia: per il quale da certi obblighi che gravano su tutti i cittadini sarebbero esentati solo alcuni tipi etnici con il rischio di renderli così immuni dalla responsabilità civile e penale. E perché dovrebbe essere umiliante il rilievo delle impronte digitali? Comporta tortura, sofferenza? Esposizione al pubblico ludibrio? Deformazioni o camuffamenti che inducono allo scherno? Comunque se si trova uno strumento che meglio soddisfi una certa sensibilità estetica lo si proponga: purché sia attuabile con provvedimenti rapidi ed efficaci.

Chi parla di integrazione dei marginali attraverso l’obbligo scolastico ciancia nel vuoto: intanto perché il problema della mancata identificazione di talune persone non tocca solo i bambini, come già detto, e se li tocca è anche e soprattutto a loro tutela; in secondo luogo perché ci si chiede: come si può incidere sulla formazione di un bambino che, per gli usi della sua gente, sta due mesi in una scuola, due mesi in un’altra distante centinaia di chilometri, e tre mesi niente?
Bisogna agire con rapidità ed efficacia, non ricorrendo a utopistiche fanfaluche per la difesa della dignità di tutti e soprattutto delle vittime di ingiusti soprusi. Altrimenti si logorerà ancor più nei cittadini la fiducia di vedere soddisfatti i propri diritti verso lo stato. Il che andrà bene ad alcuni, ma a noi no.

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