Ici e dintorni La posizione dei vescovi

Il vento di Cortina spira anche nella Chiesa italiana. Il blitz delle Fiamme Gialle ha lasciato il segno. Al punto che dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, arriva una sorta di anatema contro i furboni e furbetti del fisco: «Evadere le tasse è peccato. Per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo». Chiaro, diretto, senza tanti giri di parole. Ecco così avvisati i praticanti dello scontrino mai battuto, ecco messi sull’avviso i dribblatori della ricevuta fiscale, ecco sistemati i fantasmi del 730. Adesso non hanno più scuse: hanno la coscienza sporca anche agli occhi della Chiesa.
Del resto, ha detto l’arcivescovo di Genova aprendo ieri i lavori del “parlamentino“ dei vescovi italiani, «questa è una stagione propizia per imprimere allo Stato e alla stessa comunità politica strutture e dinamiche più essenziali ed efficienti, lontane da sprechi e gigantismi. Per cooperare attivamente con il Governo a riequilibrare l’assetto della spesa in termini di equità reale, e metter mano al comparto delle entrate attraverso un’azione di contrasto seria, efficace, inesorabile alle zone di evasione impunita, e ai cumuli di cariche e di prebende. La Chiesa - ha aggiunto Bagnasco - non ha esitazione ad accennare questo discorso, perché non può e non deve coprire auto-esenzioni improprie».
Poi, toccando un tema caldo come quello dell’imposta sugli immobili, Bagnasco ha ribadito la disponibilità a ritoccare la disciplina dell’esenzione Ici (ora Imu) della Chiesa, pur sottolineando che non si tratterà di una modifica normativa: «La Chiesa in Italia non chiede trattamenti particolari, ma semplicemente di aver applicate a sé, per gli immobili utilizzati per servizi, le norme che regolano il no profit. I Comuni vigilino, e noi per la nostra parte lo faremo: ci piacerebbe solo non si investissero tempo e risorse in polemiche che, se pur accettiamo in spirito di mortificazione, finiscono per far sorgere sospetti inutili e, in ultima istanza, invalidare il diritto dei poveri di potersi fidare di chi li aiuta».
L’analisi del presidente della Cei è cupa. Bagnasco ha notato che con l’attuale crisi economica «sappiamo di essere entrati in una fase inedita della vicenda umana» per la profondità e la radicalità dei problemi. Il «capitalismo sfrenato» ormai non partecipa a risolvere i lavori ma a «crearli». La politica è «sempre più debole e sottomessa», la speculazione la renda «irrilevante, e quasi inutile» e una «tecnocrazia transnazionale anonima» sembra voler «prevalere sulle forme della democrazia fino a qui conosciuta». Una premessa che non sfocia, però, in scoramento o in diffidenza verso il governo tecnico, perché «al di là di ogni ventata antipolitica, va detto che la politica è assolutamente necessaria». Anche in Italia, dove Bagnasco sottolinea che c’è al potere un esecutivo «di buona volontà», «autonomo non dalla politica ma dalle complicazioni ed esasperazioni di essa». In questo quadro è «irrinunciabile» che «i partiti si impegnino per fare in concomitanza la propria parte, in ordine a riforme rinviate per troppo tempo tanto da trovarsi ora in una condizione di emergenza». Il che, ha precisato Bagnasco, ormai prossimo alla riconferma alla guida della Cei per il prossimo quinquennio, «non significa rinunciare al proprio personale punto di vista sulla politica e su quanto in quell’ambito si muoveva ieri e si muove oggi.

Ciascuno a suo tempo si esprimerà in coscienza. Ma oggi c’è da salvare l’Italia e c’è da far sì - cosa non scontata - che i sacrifici che si vanno compiendo non abbiano a rivelarsi inutili. Per questo urge superare il risentimento che qua e là affiora».

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