Il Cav resta Senatore, lo impone lo Stato di diritto

l parere di Giovanardi sull’"incandidabilità sopravvenuta". La Costituente: la retroattività della legge penale è il marchio di nazisti e comunisti

Francesco Cossiga amava raccontare che quando il venerdì, giorno di astinenza dalle carni, qualche prelato null'altro avendo in tavola da mangiare che una bella bistecca di manzo, con fare solenne, prima di mangiarsela, la benediva con la preghiera: «pisces ego te baptizo in nomine patris et filii et spiritus sancti».

Non succede nulla di diverso ai nostri giorni, quando illustri costituzionalisti e fini giuristi si sono trovati di fronte al dettato dell'articolo 25 II comma della Costituzione: «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso», concetto rafforzato dall'articolo 11 delle preleggi («la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo» e dall'articolo 2 comma IV del Codice penale «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo».

Imitando gli astuti prelati di un tempo, costoro hanno battezzato con il nome di pesce la carne e scavalcato a piè pari Costituzione e leggi sostenendo, con il concorso del Consiglio di Stato, che la «sopravvenuta incandidabilità», a seguito di una sentenza di condanna, non è una pena accessoria, ma semplicemente una sanzione amministrativa che il legislatore, a sua discrezione, ha deciso debba applicarsi a chi la condanna definitiva la subisce mentre è deputato o senatore in carica, facendo votare la sua decadenza dalla Camera di appartenenza.

Ma nel caso di Silvio Berlusconi il fatto che ha comportato la condanna è avvenuto dodici anni fa e, a quel tempo, per quel reato, non era prevista la «incandidabilità retroattiva», introdotta nell'ordinamento giudiziario italiano soltanto nel dicembre del 2012. La disciplina giuridica relativa a quella fattispecie, quindi, deve essere individuata nel momento in cui tali fatti si sono realizzati e non al momento della sentenza.

Proprio su questo tema intervenne all'Assemblea costituente, il 27 marzo del 1947, Giovanni Leone, sostenendo «la necessità di riconsacrare nella Carta costituzionale questo (della irretroattività, ndr) che è uno dei principi fondamentali, non solo del diritto penale, democratico, liberale, ma uno dei principi fondamentali della civiltà del mondo (...) Bisogna ricordare che in altri Paesi, di recente, il principio della legalità e della irretroattività sono stati solennemente violati.

Vogliamo ricordare qui la massima nazista del diritto penale che si attinge solo alla sana coscienza del popolo, di cui (si aggiungeva) unico interprete era il Führer, vogliamo riferirci al principio della rispondenza ai fini configurato nel diritto sovietico; e, in contrapposto, riconsacrare il principio della legalità e della irretroattività in conformità della nostra tradizione per impedire pericolosi ritorni nostalgici verso concezioni penali che sarebbero il fallimento della nostra tradizione che è stata continuata in maniera decisa e coraggiosa da tutti i giuristi (all'epoca del fascismo, ndr)».

Se non vogliamo smentire clamorosamente i padri costituenti e regredire a livello di quei regimi totalitari, si deve semplicemente prendere atto che una sanzione afflittiva così grave, come la decadenza a seguito della «incandidabilità sopravvenuta» non può applicarsi che a reati commessi dopo e non prima della entrata in vigore della Legge Severino, così

come Giovanni Guzzetta e (pochi) altri costituzionalisti hanno coraggiosamente messo in luce, senza imbrogliare le carte giocando sulle parole.

*senatore del Pdl, membro della Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari

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