È bastata una dose di Maalox a convincerlo a non mollare. Alle critiche dei suoi che gli attribuiscono il fallimento elettorale, risponde come se l'antiacido non avesse fatto effetto e in preda ai bruciori di stomaco li insulta: irriconoscenti miracolati della politica. Li ha portati in Parlamento ma sono lì per grazia ricevuta, non per competenza esperienza e capacità. Ne consegue che i nostri rappresentanti, simbolicamente noi, non hanno voce in capitolo, diritto di pensiero né di parola. Solo le proclamazioni del capobranco costituiscono l'eccezione, sono l'assioma da cui partire e su cui è concesso esprimersi, ovviamente per approvare. Chi decide è uno e soltanto uno. Lui. Il padre padrone, l'autorità che non è autorevolezza, che non convince con l'esempio e con la spiegazione ma introducendo divieti e regole con un autoritarismo che è l'antitesi della democrazia.
È la metafora del padre cattivo che non guarda agli errori dei figli per comprendere i suoi ma è punitivo e anti dialogico, negando il confronto e comandando per diritto naturale. Può farlo perché è duro e puro come il più estremista dei rivoluzionari, che sa cosa concedere e cosa negare a garanzia del bene comune. Ma se per lui comandare è meglio che fare l'amore, quale soddisfazione cercano i 6 milioni di italiani che lo hanno votato? Perché vogliono Grillo come padre e sovrano a costo di credere a proteste urlate che esprimono i mal di pancia più elementari del paese?
Grillo è contro l'Europa, contro le istituzioni e manco a dirlo contro la corruzione, la mafia, l'inquinamento, il sistema che ha rubato e i partiti, lo strumento attraverso il quale abbiamo avuto la possibilità di organizzare fronti politici e blocchi sociali per poi esprimere la nostra volontà popolare. Il nostro passato, da cui Grillo prende le distanze allontanando da sé ogni responsabilità. Il cittadino che lo vota è un adolescente che si ribella al padre di cui non riconosce più l'autorità. Questo desiderio di autonomia e di libertà potrebbe essere portatore di un cambiamento reale. Il figlio adulto che si contrappone al padre padrone di cui capisce gli errori, si rimbocca le maniche e si mette a lavoro, cercando di trovare un equilibrio con il suo passato, da cui impara, per poi progredire.
È la via dell'emancipazione e della crescita personale che non prevede la cancellazione violenta delle proprie origini ma l'accettazione di queste, quali basi da cui partire per autodeterminarsi ed essere un genitore migliore. Non è uccidendo un padre che ha sbagliato e sostituendolo con un altro, dittatoriale, appena il peso della libertà e dell'impegno si fa sentire che si cresce davvero. Ci si emancipa diventando gli artefici del proprio destino, partecipando attivamente e non soltanto sbraitando, dando un peso alle azioni e alle parole dette, alle promesse fatte e alle idee sostenute.
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