Persino da ex premier Berlusconi fa ancora paura a «Repubblica»

Persino da ex premier Berlusconi fa ancora paura a «Repubblica»

di Vittorio Macioce

La caccia non è finita. Se qualcuno pensava che il Berlusconi defilato di questi tempi non meritasse le attenzioni giudiziarie di Repubblica a quanto pare si sbagliava. L’ascia di guerra non è stata ancora messa da parte. Forse il Cavaliere un po’ ci sperava. Non è più il centro dell’azione politica. Monti sta ancora lì a fare i conti con il debito pubblico. C’è la Fornero sul fronte dell’articolo 18, con la Cgil che deve almeno mimare un futuro di guerriglia sociale. C’è il Pd che fatica a nascondere la verginità perduta, con il sindaco di Bari nei guai per gli appalti vinti dagli amici e il tesoriere dell’ex Margherita che fa sparire i soldi. C’è Casini che tesse la ragnatela del grande centro e Montezemolo che presenta manifesti politici. E c’è anche Napolitano che sta giorno dopo giorno brevettando il presidenzialismo all’italiana. Tutto questo non basta a far finire il Cavaliere fuori dalla scena.
Il quotidiano di Ezio Mauro pensa che non sia ancora il caso di abbassare la guardia. Berlusconi ha superato lo scoglio Mills, la Cassazione ha resettato il processo Dell’Utri, ponendo dubbi sulla chiarezza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma quelli che sognano il Cav in manette hanno ancora una carta da giocare: Ruby. A pensarci è il processo più fragile. Non è facile dimostrare la concussione. La difesa di Berlusconi ripete che quelle telefonate in questura non erano né ordini né minacce. L’accusa fa pesare il ruolo di presidente del Consiglio. Come a dire: basta quello per farsi ubbidire. Repubblica punta sul numero: quattro telefonate in venti minuti, come se Berlusconi fosse uno stalker. La suggestione è condita con le solite carte della procura, costume di un Paese dove i processi si fanno sempre prima. Tutto questo, comunque, verrà valutato in tribunale. È lì che le ragioni dell’accusa e quelle della difesa si confronteranno.
Fuori dai tribunali c’è invece la sensazione che il Cavaliere cominci un po’ a mancare ai suoi avversari. Manca il grande nemico, l’uomo verso cui scaricare fobie, tabù e paure. Manca il cattivo che ti faceva vendere più copie. Manca l’ossessione di questi lunghi anni. Non è facile trovare un sostituto. Monti non funziona e non c’è gusto a prendersela con la Fornero. Al massimo si può tentare di convincere Marchionne a entrare in politica. È normale quindi che ogni tanto Repubblica provi nostalgia e torni, un po’ a freddo, a ricordare il caso Ruby.
Forse però non c’è solo questo. C’è il timore che il passo indietro del Cavaliere sia solo tattico o che il berlusconismo possa tornare in altre forme. C’è il desiderio di prendersi la rivincita su tutto quello che è successo dal ’94 fino a oggi, riportando al potere un’oligarchia morale che da sempre vuole governare il Paese in nome di una presunta supremazia etica. C’è l’impressione che il Pd non abbia le caratteristiche per governare l’Italia e bisogna quindi affidarsi a qualcosa di nuovo, magari con la benedizione dell’ingegnere Carlo De Benedetti.

C’è l’urgenza di capire Monti da che parte sta.
E in attesa di tutto questo ricordare agli anti Cav che il nemico non è ancora debellato. È l’ultima identità che gli è rimasta. Senza Berlusconi non sanno più chi sono.

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