Dal '60 al '95 l'Iri-Italsider-Ilva ha prodotto centinaia di milioni di tonnellate di acciaio. E disastri ambientali di Stato. Impuniti. L'Ilva acquisita e gestita dagli antipatici e arroganti Riva (almeno così dicono di loro) ha prodotto altrettanto acciaio. Ma diversamente da quanto aveva fatto in precedenza il pubblico, tra il 1995 e il 2011 il privato ha investito a Taranto 4 miliardi e mezzo di euro per l'aggiornamento tecnologico, di cui 1,5 per la salvaguardia dell'ambiente (dati documentati dall'ex prefetto ed ex presidente dell'Ilva Bruno Ferrante, presentati al tavolo di lavoro istituzionale nei primi giorni di sequestro giudiziario dell'Ilva, 17 agosto 2012). Nessuno pensa che l'acciaieria più grande d'Europa non abbia dato il suo bel contributo a inquinare Taranto. Ma è tutto da dimostrare che il devastante quadro epidemiologico esibito dalla procura in sede di incidente probatorio e martellato da un circuito mediatico che ha incredibilmente rinunciato a ogni esercizio di intelligenza, critica e inchiesta indipendente, sia addebitabile alla sola Ilva degli anni 1995-2011.
Comunque sia, saranno processi e sentenze a stabilire responsabilità. Non il «dagli all'untore» che si è scatenato nell'ultimo biennio. C'è chi, approfittando della debolezza infinita della politica, ha cercato all'Ilva un capro espiatorio per fare di Taranto la capitale della deindustrializzazione e dell'assistenzialismo italiani? Meglio vivere di risarcimenti e sussidi statali piuttosto che di lavoro? Chissà. Però i fatti sono quelli che leggerete nel servizio di «Prima linea». Oggi, febbraio 2014, dopo due anni di folle conflitto istituzionale tra poteri dello Stato che avrebbero dovuto collaborare per trovare soluzioni invece che produrre caos, distruzione di posti di lavoro e fatale aggressione a un asset strategico per l'Italia, l'Ilva è un'azienda privata trasformata per decreto Letta in azienda parastatale. Un'azienda che, secondo le richieste del commissario Bondi, dovrebbe essere ricapitalizzata con i soldi dei contribuenti e con i soldi dei Riva (oltre 1,2 miliardi di euro) bloccati dalla procura di Milano. Ovvero soldi dei Riva messi sotto «sequestro cautelativo» per presunta evasione fiscale, ma che verrebbero utilizzati per finanziare la capitalizzazione di un'azienda dalla quale i Riva sono stati messi alla porta. Non occorre essere principi del foro per dubitare che un siffatto «mostro giuridico» possa resistere all'esame di corti penali e civili.
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