Vogliono trascinare Ruby anche nel letto di Monti

Vogliono trascinare Ruby anche nel letto di Monti

Michele Serra, il republicones letterario e benestante, fa lezione su come si dovrebbe twittare, pensare, scrivere, esistere senza troppa pressione dell’Io. Lo fa su un giornale in cui si stampano articoli belluini, anche ieri a fianco della sua micragnosa omelia di stile, intorno al caso Ruby cosiddetto. Sostiene il republicones pistarolo e un tantino mozzorecchi Piero Colaprico, alter ego dell’antitwitter che fa grande dispendio di parole: Berlusconi è reo di concussione e alla fine potrebbe cavarsela se sotto il regno di Monti fosse modificata la dizione di quel reato, che implica violenza o minacce a un pubblico ufficiale per ottenere utilità. In 140 caratteri (la misura di Twitter) al cronista è arrivata una qualche velina di Procura milanese: mettete in allarme l’opinione pubblica, sennò qui finisce come con Dell’Utri. E lui sbrodola il suo bottino di mediatore giornalistico di un boato di tribunale su un giornale che ragiona ed esiste, direbbe Serra, per elaborare il pensiero, l’esperienza.
Ma non si vergognano? Quello che accadde quella notte lo sanno tutti. Berlusconi fu avvertito che una signorina sua amica di bisbocce private, simpatica e un po’ matta (ora madre e sposa come succede in tutte le favole), preda molto appariscente per l’Italia guardona che voleva far fuori il premier per via delle feste che teneva in casa sua, era nei guai in Questura a Milano. Le diede una mano come farebbe chiunque non abbia gli occhi foderati di loscaggini legalitarie. Chiunque inteso come privato. Lo avrei fatto anch’io. Chiamò, rassicurò con estrema gentilezza il funzionario, sollecitò una soluzione che evitasse guai alla ragazza che si era messa nei guai, raccontò anche qualche balla su Mubarak perché è persona fantasiosa e verbalmente incontinente, insomma mise la sua voce delicata e suadente un passettino oltre le regole, e incaricò una sua amica, amica delle sue amiche, di andare a prendere la giovinetta. Tutto qui. E Berlusconi, che è un tipo leale, lo dichiarò urbi et orbi, dicendo poi a favore di telecamere che nella vita aveva sempre cercato di aiutare le persone in difficoltà. A qualcuno questo succede, qualcuno talvolta mette un comportamento garbato e possibilmente efficace allo scopo prima delle astratte leggi etiche di comportamento, e per questo gli si vuole bene.
In quanto Berlusconi era presidente del Consiglio, lo scandalo c’era. Poteva essere trattato con dignità, e finire con un rabbuffo per un aiutino inopportuno, con delle scuse gentili per una telefonata inopportuna, qualcosa di inopportuno che solo un fantastico «italiano nella folla» come Berlusconi poteva compiere personalmente, con particolari alla Totò, laddove i politici suoi censori disponevano di una catena di comando ed erano bravi, in tante affaires, a far fare il lavoretto a qualcuno che non fossero loro. Invece lo scandalo minore, di protocollo, extralegale, fu raddoppiato mostruosamente dallo scandalo della persecuzione in giudizio. Per quella telefonata, come il Cicerin di Gogol fu accusato di voler rapire la figlia del governatore per averla fissamente guardata al ballo, trascurando le babbione, Berlusconi fu oggetto delle morbose e malate attenzioni della comunità, Procure e media, e issato sul patibolo dei mezzani, dei prosseneti, dei devianti del sesso. Gli stessi notabili pettegoli e un po’ luridi pronti a giustificare il sesso predatorio e violento dell’elegante gauchiste Dominique Strauss-Kahn, proprio gli stessi, si accanivano sui ghiribizzi da elisir d’amore del nostro eroe alla Donizetti. Perquisizioni, pedinamenti, sopra tutto intercettazioni, leak a tutto spiano, la giostra dello sputtanamento continuò a girare e finì in un processo di cui tutta l’Italia ride e ha riso, con qualche amarezza per noi veri moralisti.
Berlusconi non è più presidente del Consiglio. Ora quel processo fa sempre ridere, ma anche piangere. Andrebbe chiuso con vergogna. La finta tensione istituzionale costruita attorno all’ex capo del governo con maniere sottoborboniche si è dissolta. Quel processo si è rivelato per quel che è sempre stato: arbitrio sottoculturale, manovra politicizzata. Finirà male, come deve. Nel nulla, come deve. È solo la testimonianza, che gli storici seri racconteranno per filo e per segno, dell’imbarbarimento della giustizia italiana e della sua inaffidabilità.

È la gossipazione del diritto, detto in 140 caratteri alla Twitter e alla Karl Kraus, che il letterato republicones Serra non può capire: «Non c’è niente di male nelle storie di sesso e galanteria, fino a che un giudice non ci mette la sua zampa».

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