Israele, i pericolosi equilibrismi di Netanyahu e Barak

MALINTESI Il governo che andrebbe a nascere non può che essere instabile e fonte di equivoci con la Casa Bianca

La vittoria che Ehud Barak, leader del partito laburista, ha ottenuto con il 58% dei voti dell'assemblea del partito, in favore dell'entrata nella coalizione di destra che Netanyahu da sei settimane sta faticosamente cercando di creare, appare come una marcia di Gerusalemme verso due pericolosi malintesi.
Il primo è rappresentato dalla formazione di un governo instabile per le contraddizioni ideologiche e economiche dei suoi membri, obbligato a mendicare quelli del partito laburista, suo avversario storico per tener in piedi una coalizione sostenuta da 65 deputati sui 120 della Knesset. Sostegno non sicuro perché la promessa di Netanyahu di dare ai laburisti cinque ministeri chiave, la presidenza della Commissioni Esteri e Difesa, senza garantire l'unità dei laburisti rischia di creare tempesta all'interno del Likud, espropriato di poltrone ministeriali in favore di un partito ideologicamente nemico e screditato nell'elettorato israeliano. Il leader del Likud si è però reso conto che senza i laburisti non avrebbe potuto tenere a bada gli ortodossi di Shas e le loro richieste di quattrini e quelle ideologiche altrettanto pesanti dei nazionalisti - laici e religiosi - ostili all'idea di uno Stato palestinese. Un equilibrismo che rischia di danneggiare il Likud, di creare scissioni fra i laburisti e di portare rapidamente a nuove crisi di governo. Situazione che in tempi di crisi economica globale e politica regionale lascia interdetto il Paese e fa sperare la signora Livni, leader di Kadima, in nuove elezioni e nel riconoscimento da parte dell'elettorato del suo rifiuto di prestarsi alle manovre di Netanyahu. Manovre per nascondere la sua necessità di piegarsi alla pressione «nazional religiosa» di abbandonare il principio di «pace in cambio di territori» base da 30 anni di tutti i tentativi di soluzioni della crisi mediorientale.
Principio in cui Washington e la schiera degli esperti americani, guidati dall'ex ambasciatore in Israele Indik, fortemente crede e che si scontra con la realtà tanto araba quanto israeliana sul terreno. L'evacuazione di 8.000 coloni da Gaza imposta da Sharon e la trasformazione di quella zona non in principio di Stato palestinese ma in base di attacco contro Israele renderebbe impossibile anche ad un nuovo Sharon l'evacuazione di altre migliaia di coloni e il trasferimento dei territori ad una Autorità palestinese che non c'è e che se ci fosse grazie alla ritrovata unione fra al Fatah e Hamas, si trasformerebbe in una base di attacchi dalla Cisgiordania. D'altra parte il dinamismo della colonizzazione anche solo attraverso la crescita naturale dei coloni è inarrestabile. E il tentativo di Netanyahu di evitare uno scontro con Washington promettendo di «onorare tutti gli impegni presi dai precedenti governi» garantito dalla presenza dei laburisti nell’esecutivo sta creando un pericoloso malinteso con il presidente Obama che non può essere a lungo ignorato.

Questo spiega l’«incredulità» della Signora Livni - e di buona parte dell'establishment israeliano - per la disponibilità di Ehud Barak a trasformare il partito di Ben Gurion in «foglia di fico» per coprire le contraddizioni interne ed estere del nuovo esecutivo.

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