Cultura e Spettacoli

Jamiroquai, la svolta: «Funk rock alla Sly Stone»

da Milano

Ma per fortuna poi ha aggiustato tutto. D’altronde Jay Kay, che è l’anima dei Jamiroquai, è del mestiere, appartiene al ramo rockstar di lungo corso perché il suo primo ciddì è del 1993 (Emergency on planet earth) e da allora ha contabilizzato quasi trenta milioni di copie vendute a base di un acid funky che, non avendo un’identità precisa, va bene per tutte le stagioni. Perciò ieri, alla vigilia del nuovo Dynamite (in uscita il 20 giugno, oggi anteprima al Festivalbar di Torino), lui è sbarcato a Milano da Londra col solito armamentario del cantante in promozione: regolamentare ritardo, bagaglio di ovvietà e decisivo colpo di scena da agit prop. Piccolino, non un capello fuori posto, maglia verde campo da golf, Jay Kay vuole naturalmente «essere provocatorio» e infatti avrebbe intitolato il suo nuovo ciddì «Don’t give hate a chance», che significa «non diamo all’odio una possibilità». Però poi la sua casa discografica, la S2 della Sony, l’ha trovato esagerato e quindi sulla copertina c’è un prevedibile Dynamite che fa fine e non impegna. Come i contenuti dell’album, che «sono più funk rock alla Sly & The Family Stone» e che si riassumono nel singolo Feels just like it should, arricchito da un giro di basso «molto sporco» e insomma trascinante come si conviene. «L’abbiamo inciso girando per il mondo, dalla Spagna a New York, perché ogni posto ti dà un’ispirazione diversa. Il brano Dynamite, per esempio, è stato registrato a Los Angeles e infatti ha un tocco californiano». D’altronde, lui voleva «massimizzare il groove, asciugare le strofe e allungare i ritornelli». Però stop. Dopo aver festeggiato con una battuta «i cinque mesi e sei giorni» di lontananza dalla cocaina (memorabile e pietosa una sua intervista a riguardo su di un quotidiano inglese), Jay Kay ha celebrato l’altra sua droga: le auto sportive, fuoriserie, veloci, tutte stoccate nei garage della tenuta nel Buckinghamshire. «L’ultima che ho preso è una Maserati del ’55, bellissima, piccola e godibile». Certo, la sua Ferrari modello Enzo «l’ho ritirata poco tempo fa dal meccanico perché perdeva olio» ma «visto che sono in Italia magari me ne comprerò un’altra».
Insomma, il copione è il solito: un invidiabile trentacinquenne perseguitato dai lussi. Ma per fortuna c’è sempre la carta vincente che aggiusta la coscienza: l’invettiva parapolitica, naturalmente monodose. «Nel brano The world he wants il mio obiettivo è il presidente degli States. È incredibile la criminalità del terzetto Bush, Cheney e Rumsfeld. Poi ora che Paul Wolfowitz è diventato presidente della Banca Mondiale siamo a posto. Basta dare un’occhiata alla cartina del Medio Oriente per capire le manovre militari: gli Stati Uniti vogliono mettere le mani sugli oleodotti mediorientali. D’altronde il petrolio nel Texas è quasi esaurito e loro ne hanno bisogno altro».

Poi arrivederci, è filato via e nemmeno sappiamo se ha già fatto il pieno a tutte le sue fuoriserie.

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