Juan Grande

Nacque in Andalusia, a Carmona, verso il 1546. Quindicenne, mortogli il padre, fu mandato presso un parente di Siviglia che faceva il commerciante di stoffe. Juan ne fu l’apprendista e, imparato il mestiere, tornò a Carmona a esercitarlo. Aveva ventidue anni quando, mortagli anche la madre, donò tutto ai poveri e si ritirò in eremitaggio nei paraggi di Marcena. Il fatto è che in modo soprannaturale aveva preso coscienza della propria indegnità di fronte a Dio. Giocando sul suo cognome si faceva chiamare “il grande peccatore”, nomignolo che gli è rimasto appiccicato (Juan el Pecador lo chiamano in Spagna). Un giorno trovò due vagabondi malati e li portò nella sua capanna per curarli. Compresa qual fosse la sua vocazione, andò a Jerez de la Frontera ad assistere i carcerati, incurante degli insulti e anche dei pugni con cui talvolta i suoi beneficati lo ricambiavano. Anche nell’ospedale cittadino prestò la sua opera, sempre a contatto con l’ingratitudine e la cattiveria umana. Andava per le strade a elemosinare per i suoi malati, finché una famiglia di benefattori gli costruì di sana pianta un ospedale. Juan Grande si avvalse dell’opera di alcuni discepoli e aggregò la sua opera ai Fatebenefratelli, il cui fondatore era morto quando il Grande era bambino. Aprì anche un orfanotrofio e un’opera per procurare una dote alle ragazze povere.

Quando pregava, non di rado andava in estasi, finita la quale chiedeva scusa agli astanti rimasti a bocca aperta e se ne andava. La terribile peste del 1600 colpì anche lui, che assisteva i contagiati. Quando morì aveva cinquantaquattro anni.

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