L’analisi Le rivoluzioni non sono tutte uguali Scegliamo con chi stare

Era tutto lontanissimo da noi, i dittatori mediorientali ultranazionalisti e corrotti, lo scontro fra sciiti e sunniti, le alleanze spurie fra questi e quelli, i loro disegni di dominio. Che ce ne importava, dopo tutto? Adesso che il Medio Oriente e l’Africa sono vicinissimi, e questo zoom disegna campi, preferenze, aspettative che costringono l’Occidente a un corso accelerato di studi islamici. Dove ci porta tutto questo, che cosa dobbiamo auspicare, da che parte stare? Per ora la risposta è stata solo umanitaria, ma ben presto saremo costretti a chiederci quali dittatori è meglio che cadano e quali meglio che sopravvivano almeno un altro po’. Il fatto che l’esercito egiziano abbia fatto sapere che vuole restare ancora un po’ al potere e non lasciare subito il campo libero, adesso che la Fratellanza musulmana ha mostrato la sua testa d’Idra ed è pronta a prendersi l’Egitto, può anche farci piacere senza doversi vergognare. Oggi la maggiore sfida viene dalla ineludibile battaglia che si configura da quando la Siria è pesantemente in gioco. Niente è decisivo come Bashar Assad rispetto al nuovo equilibrio ambiziosamente disegnato in questi anni dall’Iran, e, in parallelo e talora con azioni convergenti, anche dalla Turchia. Mentre Gheddafi è un attore importante ma distante e lo Yemen ribolle senza ancora prendere forma, mentre la Giordania ha un destino incerto, la Siria da una parte e il Bahrain dall’altra disegnano un conflitto di interessi fra i due maggiori attori sciita e sunnita, rispettivamente l’Iran e l’Arabia Saudita. Non a caso Assad accusa la rivoluzione di essere un’artificiosa mossa sunnita, non a caso i ribelli assicurano che si sono viste fra le forze di sicurezza che hanno fatto tanti morti fra i dimostranti, guardie che parlavano farsi e militanti di hezbollah. Non è un caso neppure che Nasrallah abbia impartito ai suoi uomini che mensilmente vanno in pellegrinaggio in Siria al santuario di Sayyeda Zainab il consiglio di sospendere il viaggio. Il suo ministro degli esteri, sceicco Khaled bin Ahmed al Khalifa ha infatti affermato che il suo Paese non sarà morbido con chi promuove il terrorismo «non solo nel Bahrain, ma in altri Paesi arabi». Si può immaginare che in cima alla lista cui allude al Khalifa ci sia l’amica l’Arabia Saudita, odiata dall’Iran e dai suoi alleati e accorsa in aiuto dei sovrani. E qui, torna subito in mente la denuncia gridata di Gheddafi: la rivolta contro di me è di fatto frutto di una congiura saudita. Molti sono gli interessi, molti gli scontri.
La Turchia gioca a sua volta un grande gioco ottomano: in questi ultimi anni ha perseguitato stampa, militari, giudici, borghesia laica fino a suscitare risposte dure anche in piazza; inoltre ha stretto rapporti senza precedenti con la Siria, e dal giugno 2010 tra il Golfo Persico, il Mar Caspio, il mar Nero, Turchia, Siria, Iran, Russia, hanno elaborato una fitta rete di trattati strategici e economici. Le visite reciproche fra Ahmadinejad e Erdogan sono state molteplici e il sostegno della Turchia all’Iran contro le sanzioni sul nucleare deciso quanto l’incitamento contro Israele. Adesso la Turchia ha cercato di frenare la coalizione belligerante contro Gheddafi, fino a doversi tuttavia arrendere per non perdere il credito occidentale.
Sembra ieri quel 25 febbraio 2010 in cui a Damasco Bashar Assad ospitò una riunione di enorme importanza strategica: l’ospite d’onore era il presidente iraniano Ahmadinejad, applaudito come un antico re persiano. E dopo la folla l’incontro rarissimo: Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah che non si muove mai dal suo bunker a Beirut, ma stavolta era là insieme ai suoi sponsor e a Khaled Mashaal, il capo di Hamas. L’Iran da anni dunque costruisce una ragnatela di grande respiro con la Siria al centro. Quanto possa godere delle nuove rivoluzioni è risultato chiaro quando, pochi giorni fa, due navi iraniane hanno compiuto il loro ingresso nel Mediterraneo tramite il Canale di Suez approdando probabilmente con un carico d’armi nei porti della Siria. Tramite la Siria hanno raggiunto l’Iraq migliaia di guerriglieri, la Siria ha consegnato agli hezbollah 40mila missili per distruggere Israele. In una parola, si comprende che le rivoluzioni in corso sono varie per interesse strategico, che sempre di più si disegna nel futuro la loro appartenenza a due campi contrapposti, quello iraniano e quello saudita.

Adesso che i dittatori cadono come foglie d’autunno, ci si impone una complessità di giudizio che derivi insieme dal nostro sacrosanto interesse di Paesi democratici come dall’ammirazione per i giovani in piazza. La Siria e il Bahrain, l’Egitto e la Libia non sono la stessa cosa, anche se è faticoso impararlo.

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