L’antiberlusconismo è lo stipendio fisso di 200mila persone

Caro Granzotto, viviamo tempi molto difficili in cui l’odio trionfa a tutto campo nei rapporti politici e giudiziari. A essere più inquieta mi sembra proprio la sinistra, eppure la sua battaglia di delegittimazione di Silvio Berlusconi è in pieno fulgore, solo un pochino attenuata, nell’impatto sull’opinione pubblica, dai macelli di Bengasi. Cos’è dunque che, come dicono a Roma, «je rode», alla sinistra?
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Un fantasma s’aggira per l’Italia, caro Celada. L’antiberlusconismo. Ne vogliamo parlare? Ho fatto due conti, così, alla buona. Fra giornalisti della radio, della televisione, della carta stampata ivi compresi i settimanali d’«opinione», fra politici di professione, comici e comiche di varia natura, cantanti, giullari e giullaresse, attori e attrici genere drammatico-civile, fra scrittori e scrittrici, opinionisti a gettone, escort pentite (e dunque redente), grand commis, addetti alle intercettazioni, addetti alle trascrizioni, sociologi prêt-à-porter, personale di fondazioni, di centri di elaborazione del pensiero TTB (tutto tranne Berlusconi), fra titolari di cariche di sottogoverno, nani e ballerine siamo a circa ottanta-centomila individui che vivono di antiberlusconismo. Se vi aggiungiamo l’indotto, che so, mogli e seconde mogli, amanti e seconde, terze e quarte amanti, figli bamboccioni, cognati (dispendiosissimi), collaboratrici e collaboratori domestici, badanti dei nonni, bagnini dell’«Ultima spiaggia» di Capalbio, venditori di cachemire, di pashmine e di cosucce di Prada, si raddoppia. Ciò significa che alimentando l’«anti», Silvio Berlusconi dà da vivere - e vivere nella grascia - minimo minimo a 200mila individui. I quali, senza il Cavaliere in campo si ritroverebbero, per usare una bella espressione di Marco Travaglio - che queste cose le sa - con le pezze al sedere. Michele Santoro, tanto per non far nomi. Oggi si becca qualche milioncino l’anno. Se dovesse venire a mancare l’ubi consistam del suo Annozero, dare addosso, schiumando rabbia, al Cavaliere, eccolo che se ne tornerebbe a essere il vecchio e squattrinato «Michele chi?». Senza l’antiberlusconismo militante & viscerale, i Bersani e le Bindi, i Veltroni e i D’Alema, i Franceschini e i Fini, i Di Pietro e i Bocchino, rischiano grosso di andare a spasso. Il primo della lista, a esempio, si regge ripetendo ogni due per tre: «La misura è colma, se ne deve andare a casa». Non sa dire altro, figuriamoci, poi, se qualcosa di sinistra. Bene. Quando se ne andrà a casa, con le proprie gambe, perché così ha deciso e non perché lo chiede Bersani, che ne sarà di costui? Gli rimarrà solo il (sublime) gnocco fritto della sua Piacenza a rendergli la vita degna d’esser vissuta.
Prima o poi accadrà, caro Celada ed è questo ciò che ròde agli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo. Di certo in un clima di trionfale happy ending il Cavaliere tirerà i remi in barca. Dopo vent’anni da protagonista sulla scena politica - scena che ha cambiato, che ha rivoltato come un calzino, altro che i livorosi rivoltamenti di Totonno Di Pietro - onusto di glorie e di successi si metterà al balcone per osservare l’andamento peristaltico del dopo Berlusconi. Intanto, duecentomila concittadini dovranno, di riffa o di raffa, trovarsi un lavoro.

Questa sarà l’unica eredità di segno negativo lasciata dal Cavaliere. Un problema sociale mica da ridere e non c’è nemmeno la cassa integrazione, per gli antiberlusconiani in mobilità. Bah, cosa vuole che le dica, caro Celada. Ce ne faremo una ragione, no?
Paolo Granzotto

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