Siamo abituati a pensare a Gesù come a un uomo con la barba, dai tratti somatici mediorientali e dall'espressione sofferta. Eppure i mosaici della basilica di Sant'Apollinare Nuovo e del Mausoleo di Galla Placidia, a Ravenna, ce lo mostrano come un fanciullo imberbe, soave, con uno sguardo assorto e lievemente malinconico. Si tratta di una semplice eccezione o di un particolare di una certa importanza? Per rispondere a questo interrogativo, così come ad altri inerenti alla storia dell'iconografia cristiana, è necessario leggere Il volto di Gesù, lultimo libro di Flavio Caroli edito da Mondadori, che verrà presentato stasera (ore 21) a Como, in piazza Cavour, nell'ambito di «Parolario», da Armando Besio e Sergio Gaddi. Con lo stile dettagliato ma fluido dell'abile divulgatore, Caroli descrive il più grande sforzo di immaginazione compiuto dalla cultura occidentale. La prima effigie di Gesù che ci sia nota risale al II secolo: è inevitabile quindi che la raffigurazione di Cristo non risponda a criteri oggettivi, ma sia condizionata dalle dispute teologiche, dai rivolgimenti politici, dai diversi modi di pensare e soprattutto dai modi di percepire e «sentire» la realtà che si avvicendano nei secoli. Caroli tratteggia due tendenze espressive che si confrontano, e talvolta si scontrano, nella storia dell'arte occidentale. La prima, definita «realista», considera Gesù una figura caratterizzata da una straripante umanità che la pittura e la scultura hanno il compito di far percepire integralmente. La seconda, denominata «classicista», lo rappresenta invece come un eroe, un essere sovrumano che è fatalmente incline all'astrazione. Dalla prima tendenza, che ha in Antelami, Giotto, Masaccio e Caravaggio i suoi artisti di riferimento, deriva «per eccesso» anche quella linea espressionista che contraddistingue la rappresentazione moderna e contemporanea del Cristo. Il realismo torna però ad affacciarsi in film pervasi di reminiscenze pittoriche come Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini e Centochiodi di Ermanno Olmi. In questo lungo excursus iconografico, che si dipana sempre in modo nitido, sono spesso evocati dipinti e sculture presenti a Milano.
Professor Caroli, tra le opere che raffigurano Gesù esposte nei musei milanesi, quale considera la più significativa?
Senza dubbio il «Cristo morto» di Andrea Mantegna. In questo dipinto presente nella raccolta della Pinacoteca di Brera, lo strazio della morte di Gesù è affidato a due piedi esangui, martoriati, da cui lo sguardo sale verso un volto bellissimo, che ha un'espressione finalmente pacificata dopo i tormenti della passione. Si tratta di un capolavoro in cui il senso della commozione scaturisce paradossalmente da un'atmosfera metafisica.
È possibile tracciare una «linea» dell'arte lombarda anche nella raffigurazione di Cristo?
Sono convinto di sì. Sostengo questa tesi in un scritto intitolato Alle origini della linea d'ombra dell'arte lombarda incluso nel catalogo della mostra di Correggio che si inaugura tra due settimane a Parma. La pittura lombarda è caratterizzata da una costante sulfurea, introspettiva, psicologica, che si riverbera anche nella rappresentazione del volto di Cristo.
Nel libro dedica ampio spazio all'ultima mostra di Andy Warhol, che si è tenuta a Milano, nell'ex Refettorio delle Stelline, nel 1987. In quell'occasione Warhol ha esposto una serie di dipinti dedicati all'Ultima Cena di Leonardo. Qual è il suo giudizio su quelle opere e sull'artista che le ha realizzate?
Ho conosciuto Warhol a New York nel 1978 e ho stretto con lui una lunga amicizia, che mi ha permesso di cogliere degli aspetti poco noti della sua personalità. Quando ci siamo incontrati per la prima volta, abbiamo cenato insieme e discusso a lungo di arte.
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