Lambizione non gli è mai mancata, l'intelligenza nemmeno. E infatti quando era ancora un ragazzo il Kgb lo reclutò tra i suoi. Poi, crollato il Muro di Berlino, Aleksandr Lebedev scelse un'altra strada, quella degli affari. Una storia certo non nuova nella Russia di Putin, con una particolarità: Lebedev non è il solito oligarca piazzato alla testa di un colosso dell'energia, ma un ex tenente colonnello dei servizi segreti che all'inizio degli anni Novanta approfittò dei tre anni trascorsi a Londra come finto attaché dell'ambasciata russa per studiare a fondo i meccanismi della finanza occidentale. Tornato a Mosca nel 1995 rilevò una piccola banca, la National Reserve Bank, facendola diventare nel giro di tre anni una delle più grandi del Paese, così solida da superare indenne anche la crisi del 1998.
Oggi il 49enne Lebedev è, secondo Forbes, uno dei 500 uomini più ricchi al mondo e possiede un terzo di Aeroflot. Se l'Alitalia non è finita sotto il controllo della compagnia russa lo si deve a lui, che, come socio di minoranza, si oppose strenuamente. Indipendente nel giudizio. Sempre.
Fino a qualche anno fa andava d'accordo con Vladimir Putin, non fosse che per solidarietà tra membri del club Kgb. Tuttavia bastava guardarlo negli occhi per capire che la ricchezza non sarebbe bastata ad appagare i suoi sensi. Voleva di più, forse in cuor suo anche il potere, anche se, contrariamente al patron della Yukos, Khodorkovsky, non lo ha mai dichiarato pubblicamente. Dal 2004 è deputato al Parlamento, ma non per il partito putiniano «Russia unita», bensì per quello un po' più indipendente di «Russia Giusta».
Lebedev continua a far parte della nomenklatuta, ma qualcosa si deve essere rotto nei rapporti con il primo ministro e con il presidente Medvedev. Pensa che siano maturi i tempi per tentare qualcosa di diverso.
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