L’uomo che parlava ai cavalli (e ora lo fa col frigo)

U na volta l’uomo sussurrava ai cavalli, oggi l’uomo parla col frigorifero. Un tempo l’uomo apriva bocca solo per odiare, amare, litigare; oggi l’uomo apre bocca anche per ripetere una decina di volte «scusa non c’è campo, non sento, mi sposto, ti sposti, richiamo io e richiami tu».
Sono gli inevitabili guasti necessari per usufruire di tutto il buono che il progresso ha portato e porterà. Sarebbe anacronistico e vagamente presuntuoso criticare l’utilità dei nostri telefonini. A maggior ragione sarebbe fuori luogo prendersela con auricolari a fili e bluetooth che hanno il merito di liberarci le mani durante la guida.
Purtroppo, però, è in atto un processo degenerativo che sta portando l’uomo che sussurrava ai cavalli a parlare con il frigorifero. Cosuccia, oltre che poco romantica anche non bellissima da vedere. Perché, fateci caso, soprattutto in Italia assistiamo a una curiosa tendenza: benché gli auricolari bluetooth quando si guida - per economicità d’acquisto e semplicità - siano ormai accessibili a tutti, piuttosto che utilizzarli, molti automobilisti preferiscono mettere a repentaglio se stessi e gli altri, smanacciando distratti sul volante, svoltando all’improvviso con il telefonino incuneato fra clavicola e mento, e magari procedendo lentissimi sulla riga di mezzeria convinti di essere in un altro mondo ma rischiando di finirci a quell’altro mondo.
Poi però - ed è per questo che parlo di processo degenerativo - queste stesse persone, una volta trasmutate da homo automobilisticus a homo sapiens iniziano curiosamente a camminare per le vie del centro attivando i loro auricolari bluetooth per intraprendere imbarazzanti conversazioni rivolte all’aria. L’altro giorno ho incrociato a una fermata del metrò un tipo vestito in modo distinto. Era fermo, di spalle, appoggiato col braccio teso e il palmo aperto a un distributore di bibite fresche. Un po’ incurvato, la testa che ciondolava, parlava da solo, a scatti, cambiando tono, prima arrendevole, poi sussiegoso. Sembrava un filino ammattito. Ho pensato: questo è andato; è fuori come un balcone; questo ha appena perso il lavoro e con otto figli da sfamare, moglie a carico e mutuo con scadenza in data astrale non sa che pesci pigliare.

Ho pensato: questo quando arriva il primo treno si volta e si getta giù...
In effetti si è voltato. Prima ha sacramentato un secondo, poi si è dato un colpetto sull’orecchio, infine ha sorriso: «Sa», ha detto, «’sto auricolare perde sempre il campo quando arriva la metropolitana...».

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