«Leggi razziali, la Santa Sede fu troppo prudente»

La Civiltà Cattolica, in un articolo a firma di padre Giovanni Sale, definisce «imbarazzante» la posizione assunta dalla Santa Sede nel 1938, quando vennero promulgate le leggi razziali mussoliniane. Il Vaticano decise infatti di tenere un atteggiamento «piuttosto prudente», chiedendo «al governo fascista di usare come criterio discriminatorio non il dato biologico-razziale, ma quello religioso cioè l’appartenenza a una determinata fede religiosa». La Santa Sede – il Papa era Pio XI – cercò infatti di «attirare l’attenzione dell’autorità governativa soprattutto sugli ebrei battezzati e convertiti al cattolicesimo», invece di schierarsi «in difesa degli ebrei tutti». «Appare oggi imbarazzante - osserva il gesuita - per lo storico cattolico, soprattutto dopo le aperture del Concilio Vaticano II in tale materia, giustificare con categorie morali o religiose tale impostazione di pensiero e tal modo di procedere».
È evidente dall’articolo di Civiltà Cattolica l’esistenza di tensioni all’interno della stessa Curia romana, con il Papa che era fautore della linea più dura, e alcuni dei suoi collaboratori, incaricati di trattare con il governo di Mussolini cercando di mediare. Vale la pena di ricordare che al momento dell’entrata in vigore delle leggi razziali fasciste – per certi versi più dure di quelle tedesche – la questione fu trattata da Pio XI da una parte, da monsignor Domenico Tardini, dal nunzio Borgongini Duca e dal padre Tacchi Venturi dall’altra. Proprio in quelle settimane il cardinale Segretario di Stato Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, si trovava in Svizzera per un periodo di cura.


Il Vaticano inviò «istruzioni speciali» ai vescovi perché prevenissero qualsiasi adesione del clero «alla rivista La Difesa della razza», raccomandando a tutti i sacerdoti di non tralasciare di insistere sulle conseguenze di un razzismo esasperato.

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