L'indiscusso genio del marmo non smise di rimpiangere la creta

Quando l'Abate Missirini diede alle stampe la sua Vita di Antonio Canova mirò alto: mise in calce al volume una frase riferita da Vasari sul proprio rapporto con Michelangelo: «Non so che nessuno lo abbia più praticato di me, e che gli sia stato più amico, e servitore fedele», instaurando l'equazione: Vasari: Buonarroti = Missirini: Canova. Antonio Canova, segno zodiacale scorpione, nasce a Possagno (TV), il 1 novembre del 1757, in una cittadina ridente e lontana, che deve molto al suo artista. Forse, però, Canova, precoce orfano di padre, allevato dal severo nonno Pasino, deve altrettanto alla sua patria: la creta che là ancora si estrae fu il primo malleabile plasma, che lo portò alla scultura.
Come in certi episodi degli Apocrifi che raccontano di Gesù che gioca con l'argilla e modella uccellini e altri animaletti a cui dà vita, con un miracolo, così mi immagino Tonino, nella bottega del nonno, povero e senza genitori (la madre si risposa, lasciandolo in custodia al suocero). Questa povertà e la severità del nonno lo affannarono al punto da fargli tentare il suicidio, cercando di buttarsi da un balcone, per fortuna nostra fu trattenuto. Forse, tra questi traumi catastrofici, al piccolo Antonio non restava che la scultura. Presto il ragazzo si distinse per la sua bravura: ceste di frutta, busti di dogi, statue e gruppi, studiati a fondo sui bozzetti e sulle copie delle statue antiche, la sua tecnica era quella tradizionale, la stessa usata dagli scultori del Rinascimento. Si trovò a Roma, grazie a una rete, soprattutto ecclesiastica, di meritate raccomandazioni, in poco tempo e senza rivali che sapessero eguagliarlo, divenne lo scultore del pontefice e da allora lavorò per papi e imperatori, finché lo chiamarono “principe degli scultori”.
L'amicizia che lo legava a John Campbell emerge dalle numerose lettere superstiti, nel loro epistolario. Si frequentarono a Napoli, quando il colonnello Campbell faceva parte di una setta di maniaci per le antichità e faceva incetta di pezzi archeologici per costituirsi una collezione personale. Nonostante Campbell non fosse né un principe né un imperatore, fu proprio Canova a proporgli il popolare soggetto di Amore e Psiche corchi (o sullo scoglio, tratto da Apuleio e oggi al Louvre), concedendogli il privilegio di una sua statua. Campbell non poteva pagarne il trasporto fino in Inghilterra e il gruppo fu venduto e portato a Parigi, ma richiese una seconda versione, meno erotica, dal significato squisitamente platonico e nuziale, l'anno in cui si sposò: Amore e Psiche stanti. L'unione eterna di una mortale, divenuta immortale, per uno scambio d'anima, con il dio dell'amore: una farfalla simboleggia questo matrimonio ideale, lo strascico del velo di Psiche sul retro del gruppo lo conferma. Psiche, benché donna, è più alta e presenta una gestualità attiva, rispetto ad Amore, più minuto. Perché? La moglie di Campbell era nobile di nascita, mentre il colonnello guadagnò solo in seguito il titolo di barone. La vita di Canova procedette tra Roma, Possagno e l'Europa in un'incessante e inesauribile forza creativa: sembra non esistesse altro, per lui, che il lavoro. Statue antiche studiate minuziosamente, riprese ed emulate, dialogo attento con i grandi teorici dell'estetica del Neoclassicismo, profonda curiosità e amore per il proprio lavoro; Canova: un uomo virtuoso che non seppe proteggersi dalle polveri sottili della sua bottega dove la levigatura era vero e proprio virtuosismo, e si ammalò di silicosi, fino a soffocare. Quando Foscolo vide la sua Venere, non potè trattenersi dall'accarezzarla, tutti i potenti della terra desiderarono un suo lavoro. La grandezza della sua opera sta nel fatto che la politezza delle sue statue ha un'anima di fango, di argilla, di povertà, che attraverso la virtù da lui sempre praticata, si trasforma in qualcosa di sublime. I calchi, infatti, sono il segreto liquido e rappreso che si cela dietro tanta perfezione, telai metrati e trasferimenti dei punti dal calco al blocco di marmo per mezzo del trapano, poi sbozzatura e rifinitura.


Se si vuole davvero capire Canova, bisogna tornare a Possagno, dove egli volle legare per testamento i calchi di tutte le sue opere in un museo personale, e dove ancora possono essere visti, tutti insieme.
Ma un assaggio che ne svela la magia in un notturno giardino profumato, lo si può avere a Palazzo Marino.

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