Lista e Micozzi, due artisti alla ricerca delle origini

La prima mostra indaga sulla complessità dell’uomo, la seconda riflette sugli aspetti oscuri come la violenza sulle donne

L'Università Popolare di Milano (via Brera 3) e Miniaci Art Gallery presentano a febbraio, nella cornice della Sala Mostre Paganini all'Archivio di Stato le personali di due artisti che riflettono sulla realtà in modo intenso e penetrante. Unico il filo conduttore, la ricerca delle radici; diverso, per ognuno degli artisti, il modo di raccontarlo.
Fino al 14 febbraio è in corso l'esposizione intitolata «Icone», mostra di opere di Pietro Lista, artista campano di origini umbre, che ha assorbito l'antichità traendone un messaggio che sulle tele diventa immagine e colore. Qui si incontrano universi popolati da alambicchi, tazze, oggetti appartenenti alla quotidianità immersi in colori monocromi, ma anche da figure acefale ancorate ad uno spazio indeterminato e senza un'identità precisa, che instancabilmente si interrogano con la loro presenza, sulle ragioni dell'esistere.
«Si tratta di artisti che parlano di arte come linguaggio universale e che valorizzano la ricerca delle origini, temi cari da sempre alla Miniaci Art Gallery, in una visione di arte come stile di vita e come ragione per vivere», precisa il Gallerista Antonio Miniaci. «Pietro Lista conduce con le sue tele in un viaggio all'interno della figura umana. Lavora sulle icone, sulla complessità dei tempi moderni, senza mai smettere di interrogarsi, come accade nell'opera "Il sogno dell'angelo", dove non è chiaro se sia l'uomo a sognare di essere angelo, o il contrario», spiega Maria Cristina Vicamini, responsabile della Miniaci Art Gallery.
Anche Maria Micozzi, le cui opere saranno esposte dal 15 al 18 febbraio, indaga la realtà e i suoi aspetti più oscuri, che affondano nella storia più lontana e negli abissi dell'uomo. La sua esposizione, «Don't rape Lilith, il nome e il branco», riflette sulle ragioni della violenza sulle donne, attraverso tele e installazioni realizzate in materiali diversi, dalla pelle alla stoffa al ferro, in un'accurata analisi che spazia dalla psicoanalisi, all'antropologia e allo studio dei testi antichi. Colori forti, potenti, catturano lo sguardo trascinandolo in vortici di simboli e di messaggi, in cui, forse, è proprio la parola a rappresentare una via di salvezza.
«La psiche si difende da ciò che è troppo grande da accettare, allontanandolo. Per questo spesso si tende a decontestualizzare un atto orrendo come lo stupro, come se si trattasse di qualcosa che non ci tocca. Di qui la necessità di ricontestualizzarlo. Stuprum in latino deriva dal verbo stupere, che significa ammutolire, togliere le parole. Ed è esattamente quello che accade alle vittime della violenza, che spesso fanno fatica a parlarne».

Di qui la scelta di Lilith, la prima compagna di Adamo, come protagonista di questi lavori, e come colei che denuncia la violenza contro ciò che è diverso, e quindi, spesso, temuto.
Icone fino al 14 febbraio
Don’t rape Lilith fino al 18 febbraio
Archivio di Stato via Senato 10

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