Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del nuovo Millennio, Enrico Bracalente, amministratore unico di NeroGiardini, B.A.G. S.p.A. non è stato solo lideatore di un nuovo marchio di calzature e di abbigliamento marchigiano: è stato anche un rifondatore di questo business.
Già, perché mentre molte aziende delocalizzavano tutte le proprie attività produttive in Paesi a basso costo di lavoro, per cercare di sopravvivere alla competizione, limprenditore di Fermo decideva, insieme ai suoi collaboratori, di puntare su una produzione made in Italy. Scelta coraggiosa per unimpresa che mira a un mercato che cerca alta qualità al giusto prezzo, con i suoi prodotti che vestono bene e durano nel tempo. Una produzione dunque commerciale, a volumi, destinata a diverse tipologie di distribuzione. Non, insomma, il classico mercato del lusso, magari caratterizzato da prodotti di tendenza che costano molto e diventano demodé dopo qualche mese.
Il consumatore finale ha apprezzato questa scelta patriottica, in senso produttivo e di qualità?
«Oltre metà dei beni culturali mondiali - spiega Bracalente - sono in Italia. Questo vuol dire che non siamo secondi a nessuno per creatività, inventiva, senso del bello. La Ferrari è italiana. Il turismo viene nel nostro Paese, anche se forse non sappiamo utilizzare al meglio questa risorsa, che io definisco il nostro petrolio».
Tutto questo come si declina nella realizzazione di stivali e di scarpe?
«Nella produzione di calzature, anche quella più industrializzata, sono necessarie molte fasi di lavoro manuale. La differenza qualitativa tra un prodotto e laltro la fa anche chi lavora. Nel Fermano e nel Maceratese cè una tradizione calzaturiera di almeno quattrocento anni. Il nostro è il primo distretto europeo in questo settore».
Per garantire la qualità avete compiuto delle scelte che probabilmente non vi hanno permesso di ottenere determinati risparmi. Siete rimasti soddisfatti della vostra decisione?
«Secondo alcune ricerche, che utilizziamo anche nei nostri corsi di formazione, un messaggio positivo si propaga da uno a tre consumatori, mentre uno negativo si sparge fino a dieci potenziali clienti. Noi non abbiamo delocalizzato, ma cresciamo più di molti concorrenti che lo hanno fatto».
In tempi di crisi, puntare sul made in Italy è stato per sopravvivere?
«Quella attuale è una crisi epocale, che è partita dalla finanza e ha intaccato l'economia a livello globale. Noi abbiamo reagito in modo aggressivo alla crisi. Non abbiamo ridotto gli investimenti in comunicazione, ci siamo riorganizzati creando tre nuove reti commerciali e investendo molto nella formazione, e abbiamo puntato sulla distribuzione. Abbiamo, insomma, ottimizzato sia il controllo dell'azienda sia quello della distribuzione. Conoscere bene la distribuzione ci aiuta ad aumentare il know how di prodotto, a innovarlo e a migliorare il servizio al cliente».
Risultato?
«Nonostante la crisi, nel 2009 siamo cresciuti dell'8,5%. Nel 2010 abbiamo aumentato il fatturato del 6,5% a 213 milioni di euro. Ora, sulle basi che abbiamo gettato, ci stiamo organizzando per agganciare la ripresa economica».
Quanto conta per lei il lavoro nella vita?
«Se consideriamo che mediamente si inizia a lavorare a venticinque anni e si finisce a sessantacinque, si può dire che per i migliori quarantanni passiamo la maggior parte del nostro tempo in un posto di lavoro. Per lavorare bene, la propria attività deve piacere. Io, per esempio, arrivo in azienda con entusiasmo e a volte vado a letto pensando al lavoro che dovrò finire il giorno dopo».
Oggi i giovani guardano con preoccupazione a questo argomento.
«Negli ultimi anni è passato un messaggio sbagliato. Si è pensato che i giovani dovessero svilupparsi senza interferenze. Invece i ragazzi di oggi sono come quelli di ieri. Noi adulti dobbiamo insegnare. Bisogna ripartire dalla scuola. Cè chi è più portato al pratico e chi più al discorso intellettuale. Dobbiamo rivalutare gli istituti tecnici professionali. Se domani non ci saranno più artigiani, cosa faranno i liceali diventati architetti, avvocati, commercialisti o ingegneri? Senza aziende leconomia non gira».
Avete i mercati esteri nel mirino?
«Per noi il mercato estero è importante. Attualmente pesa per circa il 10% sul nostro fatturato. L'obiettivo è arrivare al 30% entro il 2015. In questo momento siamo presenti in Francia, Belgio e Spagna e, con un primo test a Monaco, in Germania.
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