Politica

Maria è in clinica psichiatrica: «Voglio che mi aiutino a capire»

Ha lasciato San Vittore ieri ed è stata trasferita nel centro di ricovero giudiziario di Castiglione delle Stiviere. I difensori: «Vive in una tripla realtà»

da Milano

Ha lasciato il carcere milanese San Vittore ed è stata trasferita nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, Maria Patrizio, la mamma di Casatenovo che, ieri in un drammatico interrogatorio, ha confessato di aver ucciso Mirko, il suo figlioletto di cinque mesi. E nel lasciare il carcere, dove ha trascorso l'ultima settimana, dopo il fermo avvenuto nella notte fra il 25 e il 26 maggio, oltre alla disperazione, ha portato con sè una speranza: di essere aiutata a capire perchè ha fatto ciò che non voleva fare.
Poco dopo le 14 di ieri Mary, tuta da ginnastica, dimagrita, con il volto teso ma senza lacrime, scortata da agenti di polizia penitenziaria, è salita sull'ambulanza diretta alla struttura ospedaliera in provincia di Mantova. Struttura che fa capo al Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e che ospita fra l'altro donne con seri problemi psichici che hanno commesso gravi reati, spesso come il suo. Era da mercoledì che aspettava questo momento: da quando il gip di Lecco Gianmarco De Vincenzo ha deciso, al posto della custodia cautelare in carcere, il ricovero in una struttura specializzata. E questa mattina, dopo che il Dap ha sciolto alcuni dubbi sull'esecutività del provvedimento del giudice lecchese - era citato l'articolo 286 del codice di procedura penale, che prevede il ricovero «in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero», vale a dire un normale ospedale con reparto di psichiatria - Mary ha voluto ringraziare il personale del reparto infermeria del carcere.
È qui che si trovava da una settimana quando, tra i non ricordo e le lacrime, aveva cominciato a fare le prime e frammentarie ammissioni, soprattutto sulla messinscena dell'aggressione da parte di uno sconosciuto. A chi in questi giorni l'ha seguita con particolare attenzione ha detto che «se avessi ricevuto prima l'aiuto che qui mi è stato dato» forse non sarebbe successo quel che è successo. Forse non avrebbe avuto il timore «di non essere capace di crescere il mio bambino, di non essere una buona madre», come ha spiegato martedì durante la sua ultima e decisiva confessione. E forse non avrebbe «preparato il bagnetto e poi infilato Mirko nell'acqua a testa in giù...».
Ora Mary, che secondo i suoi difensori, «vive una duplice, se non una triplice realtà» e, stremata dal dolore, confonde oramai la verità, con i sogni, il sentimento di orrore sorto dopo la presa di coscienza del suo gesto, spera di essere aiutata a capire «perchè ho fatto quel che non volevo fare». E la speranza, come avrebbe confidato, l'ha riposta nei medici dell'ospedale psichiatrico giudiziario dove si trova da questo pomeriggio. Lì spera di rivedere presto il marito Kristian.


Lui, intanto, anche ieri è tornato al cimitero di Arcore, sulla tomba del piccolo, strappato alla vita da chi appena cinque mesi fa lo aveva messo al mondo.

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