Martine e il ritorno dei vecchi elefanti

La biografia di Martine Aubry, scritta nel 2002 dal politologo francese Philippe Alexandre, s'intitola «La Dame des 35 heures», ossia «La Signora delle 35 ore». Ecco il segno lascito nella storia francese dalla figlia di Jacques Delors, che nel 1998, quand'era ministro del Lavoro nel governo di Lionel Jospin, ha realizzato la legge più rigida e più autoritaria che si possa immaginare in materia di diritto del lavoro: l'imposizione della riduzione dell'orario a parità di stipendio. Questa è la dimostrazione evidente di come Martine Aubry incarni ormai da decenni l'idea di un socialismo dogmatico ben più di quella di una moderna socialdemocrazia alla Willy Brandt o alla Tony Blair. Nessuna socialdemocrazia ha infatti mai avuto l'idea di imporre una riduzione del genere dell'orario lavorativo settimanale al di fuori di ogni concertazione tra le parti sociali.
In occasione della «guerra delle due rose», che nei giorni scorsi l'ha vista contrapposta a Ségolène Royal, la «Signora delle 35 ore» ha ritrovato il suo spirito dogmatico e, con esso, il sostegno di tutta quanta la tradizionale burocrazia del Partito socialista, che vede con sospetto e addirittura con timore ogni evoluzione politica in senso socialdemocratico e che resta ancorata al concetto fondamentale dell'«unità delle sinistre», ossia del «Fronte popolare» con i comunisti. In pratica tutti i dirigenti storici del Partito socialista francese - soprannominati «gli elefanti», nel gergo politico transalpino - hanno sostenuto Martine Aubry perché hanno visto nascere dietro Ségolène Royal una spinta al rinnovamento e all'apertura. Meglio tornare al passato e riaffermare - come hanno fatto uno dopo l'altro in questi giorni i principali leader socialisti - la «necessità di restare ancorati alle radici di sinistra del partito». Insomma, la necessità di non cambiare nulla della tradizionale rigidità politica.
Ben quattro ex primi ministri socialisti hanno appoggiato la candidatura di Martine Aubry alla segreteria del partito: Pierre Mauroy (che guidò il governo dal 1981 al 1984), Laurent Fabius (1984-86), Michel Rocard (1988-91) e Lionel Jospin (1997-2002). Degli altri due soli primi ministri socialisti della Quinta Repubblica, la signora Edith Cresson ha oggi una posizione defilata e l'ex sindacalista Pierre Bérégovoy s'è suicidato con un colpo di pistola alla tempia il primo maggio 1993 dopo una sconfitta elettorale. Michel Rocard è arrivato al punto di dire che sarebbe uscito dal partito se Ségolène Royal fosse diventata segretaria.
Tra gli «elefanti» che hanno voltato le spalle a Ségolène Royal c'è persino il padre dei suoi quattro figli: quel François Hollande che lei conobbe sui banchi dell'Ena (la prestigiosa École nationale d'Administration) e con cui ha vissuto fino all'inizio dello scorso anno. Hollande è il segretario uscente del partito. Avrebbe potuto assumere una posizione imparziale, ma ha preferito sostenere la candidatura di Martine Aubry a scapito di quella della sua ex compagna, con cui non si era mai sposato.
La «carica degli elefanti» dimostra che la burocrazia socialista non ha mai digerito la popolarità che alla fine del 2006 consentì a Ségolène di farsi nominare candidata ufficiale del partito alle elezioni presidenziali, che l'hanno poi vista sconfitta al ballottaggio da Nicolas Sarkozy. Adesso il risentimento anti-Royal viene a galla e nessun metodo viene risparmiato pur di consentire il successo degli «elefanti». Intervistata venerdì dalla rete televisiva BFM, la Aubry è arrivata al punto di vantare i meriti di suo padre Jacques Delors. Una candidatura «nel nome del padre». In realtà gli «elefanti» che hanno sostenuto la Aubry sono tra loro profondamente divisi su un tema fondamentale: l'Europa.

Delors è stato presidente della Commissione europea e la Aubry è per l'integrazione comunitaria, ma le sinistre del partito, e in particolare Laurent Fabius, hanno votato «no» al referendum del 2005 sulla Costituzione europea.

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