Martiri di Rochefort

Si tratta di sessantaquattro sacerdoti francesi del tempo della Rivoluzione. In verità sarebbero molti di più ma solo di questi è stato possibile reperire una documentazione sufficiente. Nel 1793 le carceri di Francia erano così piene di «sospetti», «controrivoluzionari» e «aristocratici» che si dovette far ricorso alle navi. Sì, navigli negrieri adattati a nave-prigione. In due di esse, ancorate nel porto di Rochefort, furono ammassati ottocentoventinove tra preti, frati e monaci. Dovevano essere deportati in Guyana ma la mancanza cronica di fondi, dovuta alle follie rivoluzionarie, fece sì che quelle navi non si muovessero mai. Ammucchiati nelle stive come bestie (ognuno aveva a disposizione uno spazio alto ottanta centimetri, largo trenta e lungo un metro e sessanta), senza mai uscire all’aria aperta, coi secondini che buttavano loro il cibo giù dal boccaporto, cinquecentoquarantasette di loro morirono. Alcuni, costretti a vivere tra le feci, l’orina e il vomito, impazzirono. Lo scorbuto aggredì tutti gli altri. Non potevano pregare ad alta voce, altrimenti venivano presi e torturati. Questa storia andò avanti dal novembre 1793 al febbraio 1795. I documenti evidenziano che nessuno di costoro, in precedenza, si era segnalato per particolari prese di posizione o azioni straordinarie. Tuttavia, l’eroismo lo dimostrarono in galera.

Chi poteva, confortava gli altri. Chi si ricordava brani di breviario a memoria, li sussurrava all’orecchio dei compagni. Qualcuno era riuscito a nascondere in tasca qualche ostia consacrata, i cui frammenti venivano dati ai moribondi.

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