«Massacri studiati a tavolino»

Yves Ternon, 74 anni, è uno storico che ha dedicato anni di ricerche al genocidio armeno. Nel Dvd che Time regala ai suoi lettori (e che si apre con la testimonianza di un vecchio che si domanda di quali colpe mai il suo popolo si sia macchiato, per meritare l’annichilimento cui venne sottoposto) Ternon scosta il sipario sulla immensa mole di documenti che certificano in maniera inoppugnabile la pulizia etnica compiuta nel 1915 dall’allora governo turco a Erevan e dintorni.
«Le ricerche - spiega Ternon - hanno avuto nuovo impulso negli anni Novanta, quando si è avuto accesso agli archivi del Patriarcato di Gerusalemme e a quelli austriaci, tedeschi e americani. Dalle liste dei deportati sono emerse storie personali ancora più dettagliate di quelle che trent’anni dopo riguardarono gli ebrei. Storie da cui è stato possibile risalire a un quadro complessivo riconducibile a una soluzione finale».
Questo vuol dire che i massacri furono studiati a tavolino?
«Sì, c’è stata premeditazione. Questa emerge senza ombra di dubbio. C’è stato un disegno, una decisione presa a freddo con cui si è stabilito di cancellare un gruppo, un popolo intero. Una verità storica di cui le nazioni devono prendere atto».
La Turchia però ha sempre negato. E continua a confutare una verità che già all’epoca dei fatti, a testimoni tedeschi e americani, pareva incontrovertibile.
«Il negazionismo non cancella la verità dei fatti. Dalla fine della prima guerra mondiale, la Turchia ha in qualche modo riorganizzato la verità storica, mettendo gli assassini nei panni delle vittime. L’assunto è: “Gli armeni costituivano una minaccia, erano rivoluzionari. È vero, ci sono stati dei massacri. Ma in ballo c’era la nostra vita, la nostra esistenza. O noi o loro”. Ma è falso. Gli armeni non erano colpevoli. Non erano pericolosi. Il negazionismo tuttavia si basa su questo postulato. La verità è che tutte le reazioni armene sono state innescate dalle persecuzioni di cui sono stati vittime.

La loro colpa, agli occhi dei turchi, era la loro volontà di indipendenza. Un’indipendenza che avrebbe messo a repentaglio l’integrità della nazione». Proprio come dice il vecchio armeno all’inizio del documentario di Laurence Jourdan. «Ci chiamavano traditori, infedeli...»

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