Il medico fecondatore che nel dopoguerra divenne il superpapà di seicento bambini

Negli anni Quaranta con la moglie Mary Barton aveva fondato a Londra una clinica per la fertilità aiutando centinaia di coppie della buona società ad avere figli. Quello che però finora si ignorava era che il biologo austriaco Bertold Wiesner, direttore della Barton Clinic, è stato anche il padre naturale di oltre due terzi dei circa 1.500 neonati: almeno 600 bambini. La ragione è semplice: nel periodo del dopoguerra mancavano i donatori. E dunque, nella patria del «Do It Yourself», anche Wiesner ricorse al «fai da te», utilizzando il suo sperma. La scoperta è stata fatta da due uomini concepiti nella clinica, il regista canadese Barry Stevens e l’avvocato londinese David Gollancz. Le prove condotte sul Dna di 18 persone concepite in clinica tra il 1943 e il 1962, mostrano come due terzi di essi siano stati concepiti con lo sperma del «superpapà». Wiesner, secondo una stima per difetto, potrebbe aver contribuito alle nascite con una media di almeno 20 donazioni all’anno, ha detto Gollancz: un primato da Guinness.
Stevens e Gollancz hanno così scoperto di essere fratellastri, entrambi «eredi» del «superdonatore» austriaco. I calcoli dei due uomini sono stati avvalorati da Allan Pacey, presidente della British Fertility Society, che li ha definiti «realistici». Nel 1990 lo Human Fertilization and Embriology Act ha posto un limite rigido al numero massimo di donazioni di sperma o di ovuli alle banche della fertilità ma all’epoca non c’era regolamentazione. I donatori di sperma possono ora contribuire alla formazione di «al massimo 10 famiglie». Il limite è stato posto per minimizzare il rischio che figli dello stesso donatore si incontrino e mettano su famiglia per conto loro, ma anche per consentire ai genitori di scegliere lo stesso donatore per un secondo o terzo figlio prima di sentirsi dire che il donatore ha raggiunto la soglia massima.
La Barton Clinic era nata per aiutare a caro prezzo le mogli di uomini sterili dell’alta borghesia e dell’aristocrazia britannica tra cui «alcuni pari del Regno» a procreare. La coppia usava amici di famiglia ma i donatori scarseggiavano e la clinica si ridusse a fare tutto, o quasi tutto, «in casa».

La clinica dei Barton suscitò comunque polemiche fin dall’inizio: nel 1945 un articolo sulla coppia provocò una denuncia alla Camera dei Lord come «opera di Belzebù», mentre l’allora Arcivescovo di Canterbury, Geoffrey Fischer, chiese che alla clinica venissero apposti i sigilli.

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